Santuario della beata Vergine Assunta a Morbegno

Giulio Perotti 

 

Sulla strada che esce da Morbegno verso l’antica parrocchiale di San Martino, a un tiro abbondante di bombarda dalla chiesa e dal convento domenicano di Sant’Antonio, sorge la chiesa bellissima dedicata all’Assunzione della beata Vergine e a san Lorenzo. Così narrava il vescovo Ninguarda, morbegnese, alla fine del Cinquecento, nella sua celeberrima Descriptio della Valtellina. Bellissima la chiesa, come appariva anche ai viandanti, all’esterno, e bellissima l’ancona lignea che all’interno presenta al centro l’affresco miracoloso della Vergine col bambino. Pur in vicinanza di tante e importanti chiese citate dal Ninguarda, va ricordata un’altra cappella (la Madonnetta, per i morbegnesi) distante dall’Assunta solo pochi passi, che custodisce un’immagine miracolosa quattrocentesca. Il tutto, in un ambiente fino a pochi decenni fa dominato dal verde dei prati di fondovalle e dei primi boschetti alle falde delle Orobie. Un ambiente che doveva ispirare un senso di sacralità prolungatosi fin (quasi) ai nostri giorni.

In quel luogo, verso il 1418, per iniziativa del parroco Bernardo degli Uberti e di "parecchie altre buone persone morbegnesi", si intraprese la costruzione di un tempio dedicato alla Madonna e a san Lorenzo, dotato di numerose reliquie, e attorno al 1430, secondo la tradizione, san Bernardino da Siena vi fondò la confraternita dei Battuti o Disciplini. Lo sviluppo della devozione verso la Madonna e i numerosi miracoli ottenuti da pellegrini provenienti da tutta la diocesi di Como indussero, verso la fine del secolo, a ricostruire la chiesa, conservando dell’antica soltanto la parete con l’affresco miracoloso della Madonna.

 

L’architettura

Per evidente influsso del Bramante, il nuovo tempio, consacrato nel 1506 dal vescovo domenicano morbegnese Matteo Olmo, presenta la tipica struttura rinascimentale della tribuna triabsidata, dove però la tribuna è innestata al centro della tradizionale navata. Sembra comunque che l’attuale edificio, pur databile entro l’anno della consacrazione, sia il risultato di una notevole modifica del progetto originario, col presumibile intervento dei Rodari anche come architetti. La presenza di un portale e di un antico rosone sul lato ovest, verso il campanile, e alcune "anomalie" nell’impianto costruttivo inducono a ritenere che secondo un primo progetto la nuova chiesa dovesse essere orientata a est come, presumibilmente, quella antica.

All’esterno, comunque, la struttura offre un’immagine coerente e unitaria: le pareti creano un raro equilibrio di volumi – con tracce di affreschi e con decorazioni in cotto – che culminano nel classico tiburio ottagonale ritmato da archetti e sormontato da un lanternino. I restauri del 1999 hanno riproposto parzialmente l’originaria decorazione pittorica rinascimentale del tiburio, che fu ristrutturato agli inizi del Settecento, quando l’attuale copertura in piode sostituì l’originaria in rame, forse a calotta semicircolare.

La facciata, pur rimaneggiata nell’Ottocento, conserva il classico schema a capanna, col portale centrale affiancato dalle finestre laterali ad altezza d’uomo. Notevoli le decorazioni in pietra di Saltrio di Tomaso Rodari (1517): il portale con l’Annunciazione sopra le lesene (in corrispondenza con i bassorilievi di Adamo ed Eva sui basamenti), le finestre timpanate e il rosone fiammato con la Vergine e il bambino al centro.

Siamo di fronte a sculture dalla "qualità altissima" e a "una manifestazione architettonica nuova per la Valtellina" (G. Galletti), che resterà "un modello per quasi due secoli di architettura valtellinese" (A. Rovetta). "La decorazione scultorea della facciata – spiega Rovetta – ci consegna un Rodari che ha temprato lo slancio antiquario delle edicole pliniane e della porta della Rana [del duomo di Como] in un classicismo più organico e strutturale, concepito in termini di misura e geometria, per ricondurre ad un ordine evidente la vitalità, minuta o monumentale, dell’organismo architettonico". Dal punto di vista iconografico, la decorazione della facciata si può leggere come una sintesi di "storia della salvezza".

Il campanile, che oggi appare eccessivamente massiccio e sproporzionato in altezza, è scandito nella parte inferiore da tre fasce di archetti in cotto e presenta vestigia di intonaco decorato a graffito. Nel 1730-33 fu elevato fino a raggiungere, con la croce, i 50 metri di altezza. Le lunette delle porte laterali, decorate in cotto, presentano affreschi rinascimentali: una Pietà sul lato ovest e la Vergine col bambino, santa Caterina da Siena e san Pietro Martire sul lato est. Ai piedi del campanile nel 1739 fu costruito un ossario affrescato all’esterno coi tradizionali scheletri rivestiti da abiti ed emblemi del potere ecclesiastico.

 

L’ancona di Del Maino, Gaudenzio Ferrari e Fermo Stella

L’interno della chiesa è dominato dalla magnifica ancona, capolavoro assoluto nel suo genere, in legno scolpito e intagliato da Giovan Angelo Del Maino (1516-1519), dorato e dipinto da Gaudenzio Ferrari (1520-21; 1524-26) e Fermo Stella (1521-23). Si presenta come sezione di un tempietto rinascimentale a pianta centrale, quadrata alla base, ottagonale e poi circolare alla sommità. In basso, cinque pannelli ad altorilievo con la Natività, la Fuga in Egitto, la Disputa coi dottori nel tempio, lo Sposalizio della Vergine, la Pentecoste. Al centro, l’affresco della Madonna in trono col bambino, datato "MCCCCXXX..." affiancato dalle statue di san Lorenzo e di san Bernardo col demonio incatenato, entro due nicchie scandite da elaborate colonnine, in un tripudio di decorazioni, tra cui i simboli degli evangelisti, san Rocco, san Giovanni Battista e le vergini prudenti. Sopra il cornicione, al centro, una lunetta con l’Eterno fra angeli e, ai lati, sotto le volute di due sirene, l’Annunciazione. Sulla cupola circolare, a due alzate, sono le statuine degli apostoli e altrettanti putti musicanti che contemplano la gloria della Vergine. Questo capolavoro costituisce "uno snodo fondamentale dell’arte lombarda del primo Cinquecento", che impegnò non solo Giovan Angelo, ma anche suo fratello Tiburzio (R. Casciaro). Anzi, "L’ancona di Morbegno segna un momento di svolta nel percorso artistico di Giovan Angelo Del Maino che [...] abbandona le asprezze ’cartacee’ delle opere eseguite a Como e inaugura uno stile ammorbidito e più classicheggiante, più in sintonia con l’arte milanese di quegli anni". Come in tutte le opere del grande scultore, "la materia è percorsa da una tensione che la agita, da una ricerca espressiva che spesso sconfina nella concitazione: non un solo centimetro di superficie ha il diritto di rilassarsi". "Il significato e la forma dell’ancona – continua Casciaro – si spiegano in relazione all’affresco tardogotico della Madonna col bambino, ritenuto miracoloso e perciò fulcro della ricostruzione rinascimentale. [...]. Le figure dipinte si affacciano da una grande arcata che simula l’ingresso trionfale ad un tempio a pianta quadrata, la cui tridimensionalità è resa illusivamente dall’ancona, che misura soltanto cinquanta centimetri di spessore".

Gli autori dell’ancona vennero scoperti alla fine dell’Ottocento dallo studioso e poeta morbegnese Guglielmo Felice Damiani, che accentuò – secondo le concezioni artistiche del tempo – l’importanza dell’intervento gaudenziano. L’approfondimento successivo degli studi sulla scultura lignea e sui Del Maino in particolare portò alla attribuzione della paternità progettuale dell’opera a Giovanni Angelo. Qui, come a Tirano e al sacro Monte di Varese, i Del Maino "non eseguirono semplicemente un altare, ma una vera architettura, assimilabile alla forma e alla funzione di un grande reliquiario" (Casciaro).

L’ancona, già chiusa da ante dipinte da Gaudenzio Ferrari (di cui faceva probabilmente parte la tela con la Natività della Vergine, ora collocata sulla parete sinistra della navata, vicino alla porta centrale), è attorniata da una cornice in legno con volute di foglie di acanto, opera di Andrea Albiolo di Bellagio (1712).

 

I dipinti

Gli affreschi del presbiterio sono attribuiti a Pietro Bianchi di Como (1703-1706): sulla parete destra il Martirio di san Lorenzo, sulla volta tre medaglioni con la Nascita, il Transito, l’Assunzione della Vergine, fra inquadrature architettoniche e medaglioni di santi. Sempre al Bianchi sono attribuiti gli affreschi sulle pareti dell’intera navata, con Santi, Pontefici, Angeli musicanti ed episodi biblici, "dall’esuberante e fantasiosa sensibilità decorativa" (S. Sicoli).

La campata davanti all’altare è dominata dall’affresco con la Vergine fra devoti, capolavoro del morbegnese Giovan Pietro Romegialli (1768) con quadrature di Giuseppe Porro di Milano. "La scena è una variante della tradizionale iconografia della Madonna della Misericordia", spiega la Sicoli, che sottolinea la straordinaria resa fisiognomica dei personaggi.

L’organo Aletti di Monza (1900) ricostruito da Piccinelli (1980) è collocato in una cassa barocca, dello stesso stile del pulpito. Sotto la cantoria, due grandi tele seicentesche con Ester e Assuero e Gedeone con l’esercito sulle rive del Giordano.

Sulla parete destra, un pregevole polittico attribuito al bresciano Vincenzo de Barberis (prima metà del secolo XVI), con l’Assunta, e le sante Marta, Maria Maddalena, Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, e tre scene bibliche. In due nicchie ottocentesche, le statue di sant’Anna e santa Lucia.

Gli affreschi della cupola sono di Giuseppe Prina di Bergamo (1709-10), con la collaborazione del quadraturista Giovanni Battista Pozzi di Porlezza e del garzone Ignazio Zuccotto di Ponte. Rappresentano i quattro Dottori della Chiesa, nei pennacchi, e poi scene bibliche e raffigurazioni allegoriche, fra ornati architettonici, per concludere con l’Incoronazione della Vergine. Sia le scene che le quadrature si collocano, secondo la Sicoli, "in un ambito di gusto un po’ arcaico per la predilezione per una decorazione ancora slegata, costituita da singoli elementi isolati, quali finti pilastri, telamoni ecc.". Al centro della cupola pende un ricco lampadario in vetro di Murano (1886).

A sinistra, la cappella dell’Assunta, un tempo dedicata alle sante Reliquie, con altare in marmo, stucchi e inferriate, datato 1617, statua barocca della Madonna col bambino, urna con le reliquie del martire san Prospero. Sulle pareti affrescate da Pietro Bianchi è stato ricuperato un affresco rinascimentale, attribuito a Giovanni Andrea de Magistris, raffigurante Sant’Agata con la Vergine, sant’Anna e il bambino. La cappella destra è dedicata a sant’Anna, con pala d’altare attribuita al non identificato Giovanni Ferrari augustanus, affreschi barocchi di autore ignoto, vetrata rinascimentale con la Natività.

La campata anteriore è dominata da un secondo affresco del Romegialli, con la Gloria dei santi Lorenzo e Bernardino. Alle pareti, affrescate in alto da Pietro Bianchi con scene bibliche e angeli musicanti, sei grandi tele: di Giovanni Ferrari augustanus sono i Santi Gioachino e Anna, San Gioachino e l’angelo (firmate e datate 1585), il Transito della Vergine, la Presentazione al tempio (attribuite). Firmata e datata 1585 dal bormiese Antonio Canclini è l’Annunciazione, a cui è attribuita anche la Visitazione.

A sinistra della porta, la grande tela con la Natività della Vergine, attribuita a Gaudenzio Ferrari, si ritiene costituisse un’anta dell’ancona. Vetrate rinascimentali alle due finestre raffigurano san Martino e san Pietro e dietro il rosone teste di cherubini. Sulla controfacciata, due piccole tele settecentesche con Sant’Antonio di Padova e San Bernardino da Siena.

In sacrestia si notano un crocifisso scolpito da Giovanni Angelo Del Maino e una vetrata rinascimentale col Crocifisso adorato dai Battuti, importante anche come documentazione storica, a conferma della presenza della confraternita. Presenza, del resto, testimoniata anche da un bassorilievo tombale ora conservato nell’attiguo salone del capitolo. In questo locale, dove i confratelli cantavano l’ufficio fino a tutto il Settecento, nel corso dei recenti restauri sono emersi due affreschi: San Domenico di Guzman, datato 1503, e, un po’ più tardo, San Bernardino da Siena. Nel capitolo ora sono esposti alcuni degli arredi sacri del santuario. Due grandi stendardi settecenteschi, croci processionali e portacandele si conservano presso la parrocchiale di San Giovanni Battista e vengono portati dai confratelli nelle solenni processioni.

La confraternita, infatti, è tuttora attiva e si raduna nel coro della chiesa per il canto dell’ufficio festivo in latino, secondo melodie tradizionali, ogni domenica prima della Messa e in altre festività. La confraternita ha conservato anche un ricco archivio, ora in fase di sistemazione.

  

Per informazioni: tel. 0342 612507.

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