Quasi
senza accorgercene, un frammento di questo racconto, rimasto incompiuto, ci ha
visto protagonisti e molti ricordi si riannodano ad una immagine
viva del Santuario, rendendo più triste il confronto con il presente.
"Affrontare l'argomento del Santuario con qualche anziano del luogo – hanno scritto alcuni anni fa Luciano Balsarri e Vittorio Giumelli sul Bollettino n.3 della Biblioteca Comunale – Tresivio, marzo 1985 – è come far divampare una fiamma alimentata dalla fede e da ricordi lontani, ma vivi nel cuore:
"La
nosa Santa Casa l'è sempri stacia la roba pusée impurtanta del paés, miga perchée
i vegniva a vedérla anca de via ma perchée per nun l'era coma na seconda mama 'n dova 'n vava a racumandas. Me regordi
che questa l'è stacia una di primi robi che gò insegnat
ai me fiö. I nos vecc i a facc
tant sacrifizi per fala su, ma l'è stac la roba pusée bela ch'i pudeves fa. Anca
la giuventù la da rendes cunt
che 'l ghè miga noma i divertiment… Prima de muri 'l me piaseres
propi pudée andà fö a Mesa amò 'n volta. Ma farò più in temp".
("La nostra santa Casa è sempre stata la cosa più importante del paese,
non perché venivano a visitarla da via ma perché era come una seconda mamma dove
si andava a raccomandarci. Mi ricordo che ciò è stata una delle prime cose che
ho insegnato ai miei figli. I nostri vecchi hanno fatto tanti sacrifici per
costruirla ed è stata la cosa più bella che potessero fare. Anche
la gioventù si deve rendere conto che non ci sono solo i divertimenti…….Prima
di morire mi piacerebbe proprio poter andare a Messa ancora una volta. Ma non
farò più in tempo").
Se
per gli anziani il dissertare su tale argomento è motivo di gioia, di
rimpianti, anche di commozione, dettata dalla fede genuina portata alla S.
Casa, per la cosiddetta generazione di mezzo i ricordi
sono meno intrisi di credenza, ma ugualmente vivi e palpitanti. Nei loro cuori
il Santuario ha da sempre trovato un angolo dove regnare incontrastato. Si
potrebbe forse pensare di primo acchito, di fronte magari ad uomini burberi,
che l'unica spinta avvenga per campanilismo, per
orgoglio, per ragioni puramente artistiche, ed invece ci si trova di fronte ad
un atto di devozione faticosamente confessato, quasi con pudore, con un senso
di vergogna, quasi che un 'ammissione siffatta possa sminuire la virilità
conquistata con ben altre iniziative: "Mi so mai stac
tant amis di prevet, ho sempri vist i robi a la mia maniera,
però quandu se trata de la Madona de Santa Casa ‘l me par da diventà
'n bocia coma 'l me fiö ‘l dì de la Prima Cumuniun. Gò quasi vergogna ad ametel ma
l'è propri inscì e pensà
che se i duves sentim i me
soci i me ridares drée ma i
sarà pö inscì
anca lor. A pensagh su ben
n 'o insci pasat de temp fö 'n de quela gesa e me regordi che ghevi cum 'è pagüra a sta de fö del
Santuari a giugà perchée ‘l
me pareva de fagh 'n dispett
a la Madona". ("Non sono mai stato tanto
amico dei preti, ho sempre visto le cose alla mia maniera, però quando si
tratta della Madonna della Santa Casa mi sembra di diventare un ragazzino come
mio figlio il giorno della Prima Comunione. Ho quasi vergogna ad ammetterlo ma
è proprio così e pensare che se dovessero sentirmi i miei amici mi
deriderebbero, ma sarà così anche per
loro. A pensarci bene ne ho così passato del tempo fuori in quella chiesa e mi
ricordo che avevo come paura a stare all’esterno del Santuario a giocare perché
mi sembrava di fare dispetto alla Madonna").
È
uno scorcio di vita di ieri divenuta già storia e che si presta per tanti
piccoli "amarcord" felliniani,
per ritrovare nella storia recente della Santa Casa la propria storia.
Rimangono ancora da fare e ultimare alcuni interventi (sistemazioni interna e esterna, locale di accoglienza, illuminazione esterna, ecc.) ma tutti sappiamo che la passione e l’attaccamento dimostrati dalla gente, testimonianza di fede genuina e di recupero delle nostre radici, nel far rivivere quei valori che hanno accompagnato e animato le generazioni dei tresiviesi e degli abitanti dell’intera valle nel corso della travagliata costruzione del santuario (già nel 1620, proprio per sottolineare la determinazione del nostro carattere avevamo meritato dal Papa Gregorio XV le parole “Fortiter egistis”), ci hanno saputo portare alle pagine gioiose di oggi, quasi conclusive, del “racconto in cammino” della Santa Casa di Tresivio.