grazie4.jpg (35006 byte)La bella facciata con cornici in cotto e pinnacoli non ha il rosone ma due grandi finestroni gotici trilobati che ne aumentano la sobria eleganza ed è preceduta da un lungo portico con archi a tutto sesto di età più tarda e lunette affrescate di notevole valore per la storia del Santuario: l’edicola eretta da pescatori e contadini mantovani, il primitivo oratorio, gli appestati morenti nella piazza Sordello di Mantova e il voto del Gonzaga, la costruzione della chiesa, la consacrazione, visitatori illustri e clamorosi miracoli.

Al centro vi è un bel portale rinascimentale di marmo veronese con la scritta: SACRUM CELESTI REGINE DICATUM e nella lunetta una Madonna col Bambino e angeli di pittore mantegnesco.

Nel portico campeggia l’iscrizione  che ricorda la peste del 1399, il voto fatto da Francesco Gonzaga  e la conseguente erezione del tempio; è questo come l’atto di nascita del Santuario, e merita d’essere riportata: DIRA PER OCEANUM SERPENT CONTAGIA VULGUS ET MISERE INNUMERA CORPORA CORRIPIUNT NON UMBRAE NEMORUM, HAUD SEGETES NON MOLLIA QuidQuam PRATA JUVANT, HOMINUM STERNITUR OMNE GENUS; MENS IMMOTA MANET, LAGRYMAE VOLVUNTUR INANES, NEC FLECTIT SUPEROS GRATIA SACRA DEOS. HANC TUNC FRANCISCUS DIVAM GONZAGA PRECATUR ET VOTO TEMPLI DESINIT ATRA LUES. HUC CELTI, HUC VENETUS CURRUNT, HUC TEUTON, HIBERUS CUNCTIS HUC SALUS, VITAQUE DIVA DATUR; HUC VOS MANTUANI, PRECIBUS FERVENTER ADESTE, PRO VOTIS SUPPLEX ADVOCAT ALMA PARENS (Serpeggia la peste crudele in tutta la popolazione e aggredisce miseramente innumerevoli persone: non danno sollievo l’ombra dei boschi, nè le messi, nè i prati riposanti: tutta la gente è prostrata; la mente rimane inebetita, scorrono invano le lacrime, nè i sacri riti commuovono la volontà divina. Allora Francesco Gonzaga si rivolge a questa Signora e, con la promessa di erigere il Santuario, cessa il terribile flagello. Qui accorrono i francesi, i veneti, qui i tedeschi e gli spagnoli, qui a tutti viene data la salvezza e la vita divina; qui accorrete voi, o mantovani, con preci ferventi, la Madre celeste interceda supplice per ogni voto).

Un’altra iscrizione ha molta importanza storica, e fu dettata dall’illustre letterato Mario Equicola; essa accenna a11’eroica impresa di Federico Gonzaga, il quale nel 1522 a Pavia con le sole sue genti seppe tener testa a tutto l’esercito francese capitanato dal Lautrech, e salvare la città; eccola: CELTA FEROX, VENETUS PRUDENS, HELVETIUS ATROX MILITE TICINUM CINXERAT INNUMERO; AERE CAVO IGNIVOMIS PILA FERREA CONCITA BOMBIS FULMINIS IN MOREM MOENIA DIRUERAT. DEFENSOR FEDERICUS ADEST GONZAGA SECUNDUS HIC FOSSA, HIC VALLUM, SOLUS HIC AGGER ERAT; ERGO SERVATI TANTO DUCI IO! INGEMINAMUS ET MARIAE HOSTILES PONIMUS HOS GLOBULOS. MARII EQUICOLAE IN OBSIDIONE PAPIAE IIII IDUS APR. MDXXII. VOTUM (I fieri francesi, gli esperti veneziani, gli svizzeri spietati avevano cinto d’assedio Pavia con un grande esercito; i proiettili di ferro gettati dal cannone e dalle cariche di fuoco avevano distrutto fulmineamente le mura. È presente come difensore il Gonzaga Federico II, qui c’erano i fossati, qui i terrapieni, qui solamente i bastioni, perciò, salvati noi, onoriamo così grande comandante e deponiamo davanti a Maria queste bombe di ferro. È il voto di Mario Equicola nell’assedio di Pavia il 10 aprile 1522). E difatti si vedono ancora infisse nel muro a guisa di croce 5 palle dell’artiglieria francese raccolte in quell’assedio sostenuto a Pavia. Molte altre iscrizioni ricordano illustri mantovani quivi sepolti delle famiglie Andreasi, Agnelli, Arrigoni, Cavriani, Casali, Donesmondi, Bettinelli; basta a noi averle accennate. La chiesa è di stile gotico-lombardo a una sola navata (m. 45x13), ha slanciate crociere costolonate le cui vele sono affrescate con larghi motivi floreali quattrocenteschi; ci sono 10 cappelle, 5 per lato, mentre un ampio coro fa corona all’altare maggiore. È adorna di affreschi, di statue, di quadri, di sarcofaghi, di lapidi, di iscrizioni.

Interno:

grazie5.jpg (48890 byte)Entrando in chiesa esaminiamo le singole cappelle, cominciando dal lato destro: la prima che ci si presenta, quella di S. Bonaventura, appartenne alla famiglia Castiglioni. È di forma quadrata con quattro colonne agli angoli e decorata di pregevoli affreschi: Cristo risorge dal sepolcro, la cena di Emmaus, un angelo dal sepolcro annuncia alle donne che Cristo è risorto, Gesù appare alla Maddalena; medaglioni con profili degli apostoli su fondo scuro e in centro lo Spirito Santo a forma di colomba. È incominciato l’avvenire della Novità con la risurrezione di Cristo! Vi campeggia nel mezzo il grande mausoleo a Baldassar Castiglioni, l’autore del Cortegiano, disegno e omaggio di Giulio Romano al ben amato protettore; e l’iscrizione è di Pietro Bembo, che riassume in essa la vita di Baldassar  nè rincresce il riportarla: BALBASSARI CASTIGLIONI MANTUANO OMNIBUS NATURAE DOTIBUS PLURIMIS BONIS ARTIBUS ORNATO GRAECIS LITERIS ERUDITO IN LATINIS ET HAETRUSCIS ETIAM POETAE OPPIDO NEBULARIA IN PISAUREN. OB VI RT. MILIT. DONATO. DUAB(US) OBITIS LEGATION(IBUS) BRITANIC:A ET ROMANA HISPANIENSEM CVM AGERET AC RES CLEMENTIS VII PONT. MAX. PROCURARET IBIQ. LIBROS DE INSTITUEND. REGUM FAMIL. PERSCRIPSISSET POSTREMO CUM CAROLUS V IMP. EPISC. ALBULAE CREARI MANDASSET TOLETI VITA FUNCTO MAGNI APUD OMNES GENTES NOMINIS. Qui VIX. AN. L MS II D. I ALOYSIA GONZAGA CONTRA VOTUM SUPERSTES FIL. B. M. P. AN. D. MDXXIX (A Baldassar Castiglioni, Mantovano adornato di ogni dono di natura e da moltissime conoscenze del sapere, erudito nelle lettere greche e latine e anche poeta della lingua italiana, avuto in dono il castello di Novilara presso Pesaro per il suo valore militare, dopo di aver portato a termine il compito di ambasciatore presso la Gran Bretagna e a Roma, e mentre funzionava presso la corte di Spagna e conduceva gli interessi di Papa Clemente VII là stese il Cortegiano per la formazione dei nobili, infine dopo che Carlo V imperatore lo aveva scelto come vescovo di Avila, morì a Toledo godendo tanta fama presso tutte le popolazioni. Visse anni 50, mesi 2, 1 giorno. La madre Luigia Gonzaga superstite al figlio contro il suo desiderio pose questo ricordo nel 1529).

Accanto al mausoleo di Baldassar vi è quello di suo figlio Camillo, morto nel 1598, e della moglie Caterina, contessa Mandelli, piacentina, morta nel 1582. Vi sono eleganti iscrizioni a Ippolita Torelli moglie di Baldassar, a Luigia Gonzaga sua madre, e ad altri della famiglia Castiglioni. Trascriviamo anche quella tanto poetica e cristiana riferita alla moglie composta dallo stesso Castiglioni:NON EG0 NUNC VIVO CONIUNX DULCISSIMA VITAM, CORPORE NAMQUE TUO FATA MEAM ABSTULERUNT, SED VIVAM TUMULO CUM TECUM CONDAR IN ISTO IUNGENTURQUE TUIS OSSIBUS OSSA MEA (Ora, dolcissima sposa, non vivo per la mia vita, infatti il destino ha strappato la mia con il tuo corpo, ma comincerò a vivere quando con te sarò deposto in questa tomba e le mie ossa si uniranno alle tue).

Il quadro dell’altare (Madonna in trono con il Bambino e i santi Bonaventura da Bagnoreggio, vescovo e cardinale di Albano, e Francesco d’Assisi) fu disegnato da Giulio Romano ed eseguito da suoi scolari. È questa cappella un vero tempietto pregevole per la storia e l’arte. Il ritratto di Baldassar Castiglioni (82 x 67) fu dipinto da Raffaello Sanzio intorno al 1514-15 e ora si trova a Parigi nel museo del Louvre.

La seconda cappella è detta dei Bertazzolo; erano i Bertazzolo una insigne famiglia di matematici idraulici, che per più di 2 secoli servirono i Gonzaga col titolo di Prefetti delle acque del ducato; essi sistemarono fiumi, scavarono canali, condussero colatori, alzarono argini, prosciugarono paludi, costruirono strade, edificarono ponti; Gabriele, il più celebre di tutti, e del quale si denomina l’attuale nostra Scuola tecnica, rinnovò il sostegno di Governolo a difesa delle piene del Po, sostentò  l’acqua dei Laghi intorno alla città; in un opuscolo edito nel 1609 diede le ragioni e la storia della ardua sua impresa. – L’ancona di questo altare rappresentante il Martirio di S. Lorenzo sulla graticola è opera di Lorenzo Costa, che ai Bertazzolo era legato da affettuosa amicizia. Le pareti e la volta sono totalmente affrescate con figurazioni di carattere giuliesco che raccontano episodi della vita del santo: è consacrato arcidiacono da papa Sisto II, visita i carcerati, battezza, presenta all’imperatore Valentiniano i Tesori della Chiesa (i ciechi, gli storpi, i malati, i poveri) ecc.grazie7.jpg (40244 byte)

Segue la cappella detta degli Aliprandi (terza): di questa famiglia il più rinomato è Buonamente, che sul principio del 1400 scrisse in terza rima la Cronica di Mantova, di cui la parte più interessante fu pubblicata dal Muratori nel Tomo V delle sue Antiquitates medii aevi; e il rimanente giace ancora inedito nella Biblioteca di Mantova. L’Aliprandi viveva al tempo della costruzione di questo tempio, e perciò quanto egli ne dice ha il valore d’una testimonianza oculare. In un angolo di questa cappella in caratteri gotici si legge la seguente iscrizione: AD HONOREM DEI ET BEATISSIMAE VIRGINIS MARIAE BONAMENS DE ALIPRANDIS CIVIS MANTUANUS FECIT FIERI HANC CAPELLAM ANNO DOMINI MCCCCXV (In onore di Dio e della Beata Vergine, Bonamente della famiglia Aliprandi, cittadino di Mantova fece costruire questa cappella nel 1415).

L’antica ancona della Madonna ha le parti dipinte con le immagini del Padre Eterno, di S. Anna e S. Elisabetta, di S. Caterina e S. Apollonia. Sulle pareti due affreschi «riportati» del ’400: Madonna adorante il Bambino addormentato con la testa e il gomito appoggiati alle ginocchia della Mamma (1420-30) e al centro della parete destra Madonna in trono col Bambino benedicente. Il primo affresco, che era sulla parte estrema della parete sinistra, è di notevole qualità; il secondo è di epoca più tarda e di qualità inferiore. Questa cappella, costruita nel 1415, fu poi modificata e la decorazione quattrocentesca, ricoperta con nuovo intonaco verso la fine del ’500.

Tra la cappella Aliprandi e l’ingresso alla sagrestia nuova c’è il bellissimo monumento sepolcrale in marmo del nobile mantovano Bartolomeo Panciera (1551-1610) attribuito ad Antonio Maria Viani: ai lati ci sono due piccole cariatidi in marmo bianco una delle quali ha una serpe sul seno. La leggenda popolare dice che erano due cognate, spose di una famiglia di contadini e ciascuna con un figlioletto da allattare: quella di turno in quel giorno nel lavoro dei campi pregò l’altra di dare il latte anche al suo bambino. «No – rispose – piuttosto lo dò a un serpente». E nemmeno si guardano in faccia!...

Dopo l’Aliprandina il passaggio che conduce alla sagrestia nuova è stato ricavato nella soppressa cappella di S. Francesco (quarta). Caratteristico e interessante è il monumento funebre Stanga eseguito nel 1498 e attribuito a Gian Cristoforo Romano, che proprio in quell’anno si trovava a Mantova. La sagrestia nuova (1642-44), ampia, ben proporzionata, con un elegante altare nello sfondo, con alti armadi di noce, fu eretta con il contributo di Scipione Capilupi, antica e illustre famiglia mantovana, come da iscrizione: SANCTISSIMAE TRIADI DIVOQUE IOHANNI BAPTISTAE CIPIONES DE CAPlLUPIS SINGULARI PIETATE DICATUM 1644 (L’altare è dedicato alla Santissima Trinità e a San Giovanni Battista per la pietà profonda di Scipione marchese Capilupi nel 1644). Questo Scipione Capilupi è quel medesimo, che solo della numerosissima famiglia scampato all’eccidio, cui soggiacque Mantova nel 1630, scrisse la cronaca del luttuoso evento, che fu pubblicata dal conte Carlo D’Arco. Il dipinto che è sull’altare in una cornice di marmo, è una buona copia del «Battesimo di Gesù» dei Costa. Vi sono ritratti a mezzo busto di alcuni membri della famiglia Gonzaga, una pregevole copia del dipinto «La Cena di Emmaus» di Tiziano, un grande S. Antonio di Pagrazie10.jpg (23890 byte)dova di Francesco Borgani (1620) ecc. e un busto di S. Pio X.

Nel corridoio, dopo questa sagrestia, è conservata una notevole raccolta di «tavolette» dipinte, ex voto, di valore religioso, culturale, storico ed estetico. Viene quinta la cappella che fu della miracolosa immagine di Maria Vergine; credesi, che questa occupi precisamente il luogo dell’antico capitello del Mille, da cui sorse in seguito il santuario; sotto l’aspetto religioso questa cappella è la più preziosa del tempio, anzi è solo da essa che al tempio viene il pregio; ma nei rapporti della storia e dell’arte non ha più alcuna importanza; vi erano una volta depositate medaglie d’oro mandate da Pontefici, una corona di pietre preziose lasciata da Carlo V, anelli e monili donati da principi, vesti di broccato trapunte da principesse, oggetti rimarchevoli per la nobiltà della materia, per la finezza del lavoro, per la rinomanza del donatore; ma tutto ciò è scomparso e solo ne è rimasta la memoria in un inventario compilato il 25 aprile 1741. Oggi la cappella è tappezzata solo di voti modesti, di cuori d’argento, di tavolette memori, a testimonianza della fede e della pietà del buon popolo, ma che non hanno alcun valore nel campo che qui noi studiamo. Prezioso è il paliotto dell’altare di marmi policromi lavorati a fine intarsio e pure interessanti sono le due figure di santi elegantemente scolpite in marmo, collocate in piccole nicchie. Davanti a questo altare furono tumulati nel 1631 Carlo Gonzaga principe di Rethel, nel 1660 sua moglie Maria Gonzaga, che come Reggente aveva per tanti anni governato il ducato, e nel 1665 il loro figlio Carlo II; e, cosa strana, mentre   di tante persone di condizione relativamente meno elevata si conservano le tombe e le iscrizioni, di questi tre regnanti non si ha più alcun segno, che quivi fossero sepolti; sarebbe ignorato anche il fatto, se non lo ricordassero le cronache.

Altare maggiore:

Veniamo all’altare maggiore: fu rifatto nel 1646 per interessamento di Maria Gonzaga in foggia barocca con qualche accento rinascimentale. L’immagine della Madonna, dipinta a tempera su tavola da ignota mano del 1400, incoronata nel 1907, fu riportata nella sontuosa edicola nel 1932 per volere del Vescovo Mons. Domenico Menna previo restauro e sistemazione generale del presbiterio (restauro riuscito provvidenziale anche nell’ordine statico). La volta a botte con cornice e lunette absidali è un rifacimento del 1530 su disegno di Giulio Romano. Anche tutta la pittura a fresco è di arte giuliesca. I dipinti che appaiono sull’abside poligonale – raffiguranti l’Assunta e Madonna e Santi – sono opera di Giuseppe Bazzani, valente pittore mantovano (1690-I769). Il coro è composto di 36 stalli di legno di noce e radica finemente intagliato (1753). La Reggente Maria Gonzaga, nel 1646 rimasta erede dei molti beni lasciati da Ercole Gonzaga di Guastalla, doveva far erigere al benefico parente un degno mausoleo in questo Santuario: ed ella ne fece eseguire uno, che avendo la forma di un tabernacolo, fu appunto per tale ufficio collocato sull’altare maggiore, ove risalta in tutta la sua bellezza e ricchezza: e le ossa del Gonzaga vennero deposte sotto l’altare stesso, e una iscrizione ne fa testimonianza. Nella sagrestia gotico-lombarda dell’epoca della chiesa, recuperata e restaurata recentemente, la grandiosa pala rappresentante l’Assunzione di Maria Vergine fu dipinta dai fratelli Costa per incarico di Ferrante Gonzaga fratello del duca Federico, e vicerè, prima di Sicilia, poi di Milano; ai piedi della Vergine vi è il suo ritratto e quello della moglie Isabella di Capua.

Discendendo dall’altare maggiore troviamo prima la cappella di S. Girolamo o dei Corradi.  Erano i Corradi una antica famiglia mantovana illustre nelle armi, nella magistratura, nelle lettere: in essa vi è il mausoleo di Bernardino Corradi, a lui eretto, nel 1489, dalla moglie Barbara Agnelli, che è un vero gioiello d’arte; il conte D’Arco riproducendolo e illustrandolo nella sua opera "Monumenti di pittura e scultura trascelti in Mantova e nel suo territorio" dice, che Barbara Agnelli chiamò compagne le Grazie a comporre il sepolcro del marito; giacchè non sappiamo, che più leggiadro riposo siasi mai preparato alle ceneri di un caro e illustre trapassato. Questo squisito cenotafio è attribuito a Gian Cristoforo Romano. L’importante dipinto, tempera su tela, purtroppo cromaticamente perduto, è in una cornice di marmo bianco. Il secco panneggio e la strutturazione delle rocce lo fanno ritenere dai più  di Francesco Bonsignori.

Troviamo in seguito la cappella dei Zibramonti, famiglia ora estinta, e che ha dato alla patria magistrati, ministri, vescovi; la pala dell’altare, lodata dal Vasari, raffigurante il martirio di San Sebastiano fu dipinta da Francesco Bonsignori, il più rinomato scolaro del Mantegna! L’immagine del Santo per la dolcezza delle linee e perché non ha movimenti stiracchiati e contorti, nè attitudine sforzata prelude alla solenne staticità del Rinascimento. Gli affreschi delle pareti: S. Francesco, la Risurrezione, S. Elisabetta d’Ungheria, Terziaria francescana, sono di scolari di Giulio Romano, in particolare Rinaldo Mantovano allievo fra i migliori.

Segue poi la cappella degli Strozzi o di S. Ludovico: la ornavano tutta all’intorno a guisa di fregio vari medaglioni dipinti a fresco dal Pordenone, che inconsultamente furono poi ricoperti da uno strato di calce: ora se ne vedono ancora tre; gli altri si potrebbero di nuovo grazie13.jpg (46544 byte)mettere in luce; le molte iscrizioni, che ricoprono le pareti, stanno a memoria di quei membri della famiglia Strozzi, che in questa cappella furono sepolti. La pala dell’altare: Madonna col Bambino e i santi Francesco d’Assisi e Ludovico d’Angiò vescovo è di Antonio Maria Viani. L’altare ligneo è opera del fratello, Giovanni Battista, bravissimo falegname e intagliatore.

Quarta si vede la cappella di S. Antonio di Padova già dedicata a S. Bartolomeo. L’altare di marmo, che era della chiesa dei Frati francescani di Volta Mantovana e dal 1811 proprietà della parrocchia di Pozzolo, fu donato al Santuario nel 1964. La pala raffigura un miracolo di S. Antonio, ottimo dipinto eseguito nel 1620 da Francesco Borgani, pittore mantovano. A sinistra S. Tommaso Apostolo, a destra S. Francesco d’Assisi che riceve le stigmate: sono due soggetti di buona fattura.

Chiude la serie delle cappelle quella degli Ippoliti di Gazoldo. Gli Ippoliti erano feudatari con mero e misto imperio del principato di Gazoldo, borgata non lontana da questo Santuario, e con diritto di battere moneta; il principato sussisteva ancora autonomo nel 1797, quando i Francesi lo incorporarono nella repubblica Cisalpina. La pala dell’altare rappresenta sant’Ippolito, da cui si crede oriunda la famiglia, ed è lavoro di Antonio Maria Viani, architetto e pittore. Anche qui le iscrizioni mortuarie ricordano principi e principesse, che vollero essere tumulati nella cappella di famiglia.

Nella navata tra le cappelle di S. Girolamo e S. Sebastiano, è affrescata una Natività di discreta fattura della fine del ’400 e tra quelle di S. Ludovico e S. Antonio di Padova, la Madonna della Misericordia che protegge sotto il suo manto tutte le categorie di persone.