IL RACCONTO STORICO DELLE LACRIME (da "Pennabilli e la Vergine delle Grazie" dell'arcid. Antonio Tani)

pennabilli7.jpg (41258 byte)Era il 20 marzo, terzo venerdì del mese, del 1489, allorché si vide la immagine della Vergine delle Grazie versar lacrime dall'occhio destro, alla presenza di tutto il popolo. Chi può immaginare lo stupore dei fortunati testimoni? Si sparge in un baleno la voce del prodigio. Tutti corrono a vedere, tutti gridano al miracolo. Per assicurasi meglio con dei pannilini asciugano quelle lacrime: esse si rinnovano; le asciugano ancora; esse spuntano nuovamente sul ciglio di Maria, come perle di rugiada sui fiori, e scorrono per la gota lasciandovi la traccia che si riconosce ancora. Sono spettatori di tal meraviglia cittadini e forestieri. A memoria del fatto quell'anno stesso viene istituita la Compagnia della Madonna delle Grazie, i cui atti cominciano col racconto autentico del prodigio, steso per ordine di Mons. Celso Mellini, romano, vescovo di Montefeltro, e sottoscritto da quattordici testimoni oculari, i più colti e veritieri, primi tra i quali: P. Cristoforo da Penna, maestro di teologia, priore degli agostiniani; fra Giovanni, perugino, predicatore della quaresima in quell'anno, il quale fu il primo esaltatore del miracolo ed ogni giorno lo ricordava dal pulpito; fra Ercolano da Cesena, suo compagno; don Francesco da Pietrarubbia, maestro di scuola in Penna; Pier Antonio Paganuccio, cittadino fiorentino, vicario di Penna, e ser Bernardino di Carmignano, suo ufficiale; il Magnifico Gran Nicolò dei conti Carpegna, i quali esercitavano in Pennabilli l'ufficio di castellani a nome dei Malatesta e ci avevano un palazzo, venduto poi dal conte Giovanni a Michelangelo Olivieri, pennese. La memoria del miracolo si è perpetuata inoltre nella festa del terzo venerdì di marzo, in cui il suono giulivo delle campane chiama fin dall’aurora e cittadini e forestieri ai piè della Vergine delle Grazie, patrona di Pennabilli. A prova del fatto prodigioso si può anche ricordare che, due anni dopo, i Padri Agostiniani della provincia di Bologna, adunati a Capitolo in Pennabilli, approvarono le regole della Compagnia della Madonna delle Grazie, eretta appunto a memoria del prodigio. Ne è conferma anche l’iscrizione latina, che si leggeva al sommo della sacra Cappella, prima che fosse ricoperta degli ornati posteriori. Ne do qui la traduzione: AI POSTERI/QUESTA IMMAGINE DELLA MADRE DI DIO PRESAGA DELLA FUTURA CALAMITÀ/MOSSA A COMPASSIONE DEL SUO POPOLO VERSÒ LACRIME/CHE ASCIUGATE TRE O QUATTRO VOLTE/SI RINNOVARONO/COME NE FANNO FEDE GLI ANNALI/SCRITTI DA TESTIMONI OCULARI/L’ANNO DEL SIGNORE 1489/20 MARZO Lo stesso dice un'altra iscrizione del 1631 a caratteri d’oro in campo nero, che si legge nel fianco destro dell’altare, sopra l’architrave. Essa parla anche delle due apparizioni e vittorie del 23 febbraio 1517 e 1522. Il fatto quindi è indiscutibile. Quasi tutti gli storici pennesi ne parlano (il Mastini, il Magnani, lo Zucchi Travagli, il Mattei Gentili, il P. Besi); ed altri non pennesi, come il Guerrieri e il Vanzi. Ma potrebbe qualche critico indiscreto, qualche spirito superiore, che si vanta di non credere ai miracoli, perché crede poco anche a Dio, potrebbe, dico, mettere in campo la batteria dei soliti argomenti ormai logori: la troppa credulità dei nostri antenati, la loro ignoranza dei fenomeni fisici - umidità del muro, infiltrazioni d’acqua, vapori condensati prodotti dall’aria umida e calda per l’affollamento della gente in chiesa.

– Creduli i nostri antenati? – Ma essi videro coi loro occhi, toccarono con le mani.

– Ignoranza dei fenomeni fisici? – Ma come poteva esser umido quel muro fabbricato già da tre secoli?

- Acqua infiltrata? – Ma allora non doveva scrostrarsi e cadere? Invece sussiste tuttora.

– Vapori condensati? – Ma allora perché le stille apparvero solamente sull’occhio destro e non anche sul sinistro e non su tutto il volto e non su tutto il muro e non ogni altra volta che la chiesa fu stipata di gente?

Ma io intendo esporre i fatti e non fa della polemica. Non scrivo per i critici nè per i dotti: scrivo per il popolo; e il popolo divoto di Maria non ha mai messo in dubbio il suo pianto prodigioso, pianto che presagiva le prossime sventure che sarebbero abbattute su questa città.

LA MADONNA DELLE GRAZIE E LA SECONDA GUERRA MONDIALE (di Guido Fucili - da V centenario del prodigio delle Lacrime)

Millenovecento-quarantaquattro; la popolazione di Pennabilli viveva gli angosciosi giorni della guerra, al pari di decine di paesi situati a ridosso della Linea Gotica. La cittadina era presidiata da truppe tedesche rafforzate, per azioni di rastrellamento e di rappresaglia, della compagnia «Camiluccia» della Brigata fascista «Tagliamento». Una Brigata, per chi non lo sapesse, che non si faceva scrupolo di fucilare anche donne, come purtroppo è avvenuto a Pennabilli, e di impiccare con il filo spinato, come fece, ritirandosi al Nord, i partigiani di Bassano del Grappa. La popolazione, in prevalenza anziani, donne e bambini, temeva ogni giorno per la propria incolumità personale, paventava lo sfollamento di cui ciclicamente correva voce, pativa razzie di bestiame e di quanto poteva tornare utile alle truppe di occupazione, soffriva per i propri giovani arruolati a forza nell’esercito repubblichino (Bando Graziani), o alla macchia per sfuggire alla costrizione obbligatoria ed ai rastrellamenti o, in alcuni casi ancor più tristi, deportati in campi di concentramento tedeschi. In una situazione drammatica che sembrava spegnere ogni speranza di vie d’uscita, s’era però rafforzata nei cittadini la fede nel soprannaturale e la fiduciosa devozione alla Madonna delle Grazie, protettrice di Pennabilli e della Diocesi. Si erano fatte più frequenti e generali le visite alla Chiesa di San Cristoforo, ove è conservata la miracolosa immagine della Vergine. Ed un giorno, forse del mese di luglio, alcuni militi della Brigata nera, insospettiti da quello stillicidio di persone che salivano l’erta di S. Agostino, cercarono di sapere dove andassero e cosa facessero quei cittadini «sospetti». Saputolo, li irrisero ed uno di loro commentò: «sciocchezze, i veri santi protettori sono questi», ed indicò mitra e pistola. La legge della violenza e della sopraffazione contro quella della ragione e della fede. Qualche mese dopo, esattamente il 21 settembre, quei militi erano già fuggiti al Nord e non poterono assistere ad un commovente episodio. Quel giorno, settanta cittadini pennesi, per lo più uomini anziani e ragazzi, i salivano, cantando, al Santuario della Madonna. Erano stati, in precedenza, rastrellati dalle SS. tedesche che ne avevano iniziato la deportazione. Ma a Secchiano Marecchia erano stati improvvisamente lasciati liberi pennabilli8.jpg (56704 byte)di tornare alle loro case. Rientrati in paese, non si fermarono ad abbracciare madri, mogli e figli, ma si recarono direttamente a ringraziare la Madre di tutti, dalla quale, nelle drammatiche ore della deportazione, avevano implorato la grazia. E le madri, le mogli, i figli ne colsero il senso profondo ed anch’essi si unirono al gioioso coro di ringraziamenti e di preghiere: e la Chiesa fu subito piena di gente lieta e commossa, e vi rieccheggiarono litanie corali forse mai recitate con tanto sentimento e con tanta consapevolezza. Anche questa volta la Madonna aveva fatto la grazia, così come era avvenuto in altre circostanze nei secoli passati e, addirittura qualche giorno prima, per lo sfollamento del paese, già decretato, ma mai attuato. Al di fuori di questi significativi episodi collettivi, certamente non v’è pennese che, nei tempi bui della lunga guerra, non abbia implorato fiducioso la Vergine. Quanti, in Chiesa, in casa, nei campi hanno ripetuto «Mater divinae gratiae, ora pro nobis» pensando ai figli in pericolo, al timore di dover sfollare, alla paura d’essere fucilati, alla incombente prospettiva d’aver la casa bruciata. Quanti? Impossibile dirlo: ma chi ha vissuto quei tempi lo sa bene nel suo intimo. E quanti, toccati dal lutto e dalla sventura hanno chiesto forza e rassegnazione rivolgendosi alla «Mater dolorosa?». La guerra è stata lunga; prima contro gli «alleati», poi contro i tedeschi, intristita per giunta dalla lotta fratricida. E a guerra finita le tribolazioni continuarono. Si attenderà il ritorno dei prigionieri e dei deportati. Alcuni rientreranno minati nel corpo e nel morale; altri purtroppo non torneranno più. Ci sarà ancora da fare i conti con le distruzioni materiali e spesso con la fame. La Madonna delle Grazie, anche in tali frangenti, continuerà a rappresentare punto di riferimento e fonte di consolazione. È durante e dopo la guerra, in quella atmosfera di fede e di sincera venerazione, che nasce il voto di assicurare alla sacra immagine una casa più degna e sicura. È soprattutto in quei tempi che la devozione dei pennesi trae nuovo vigore; una devozione che, sorretta da solida fede, non dovrebbe temere l’usura di tempi meno dolorosi e meno bui.

Solo le mamme piangono (di Eligio Gosti, Direttore del mensile "Montefeltro")

Pianse Maria a Nazareth quando l’angelo di luce tagliò con il suo raggio il progetto di donna per farne la Madre di Dio e le sue lagrime divennero sfere di cristallo entro le quali vide la volontà di Dio dispiegata nelle vicende della sua vita per la salvezza del mondo. Pianse Maria a Bethlemme quando, rifiutata dagli uomini e umiliata in una stalla, vide fiorire sulla paglia, le sue ansie e le sue attese nella carne del Figlio di Dio fattosi uomo. I lunghi mesi di speranza e di silenzio si sciolsero in una scia di luce della stella di Davide. Pianse affannata nei tre giorni di angosciata ricerca al tempio e su la strada doppiata di Gerusalemme nello smarrimento e nel ritrovamento del Figlio che si era recato nella casa di un altro Padre. Le parole dure e misteriose del Figlio le si infissero nell’anima e le macinò a lungo nelle notti insonni e nei giorni troppo lunghi delle attese. Pianse soprattutto ai piedi della croce anche se ingoiava le lagrime per non aumentare la sofferenza del Figlio. Si costrinse coraggiosa ai suoi piedi apparentemente immobile, ma il suo cuore era un fragore di oceano dove le sue lagrime si mescolavano alle stille di sangue che scendevano dal corpo divino. E lavò del suo pianto il cadavere del Figlio staccato dalla croce e raccolto in braccio in quella scena sublime che la compassione e l’arte dissero Pietà. Ma la terra si coprì di gigli dove erano cadute le gocce del suo pianto e di rose rosse dove il sangue aveva irrigato la terra.

Solo le mame sanno piangere

Ma le loro lagrime non sono espressione di debolezza ma stille di linfa di un ramo spezzato, di un ordine rotto. Il pianto di una madre sono le gocce di pioggia che fecondano la terra. L ’uomo nei rari casi di pianto, si commuove alla superficie, la donna si scioglie nel profondo per far germinare la vita. Maria ha sempre pianto in comunione con i figli. Ieri come a Pennabilli e in cento altri posti. Oggi in Europa, in Africa, in America. Troppe o poche, vere o false le apparizioni? Non lo sappiamo, solo rimane vero il pianto. Piange perché le fanciulle cui vien proposta una missione di madre e di donna completa, non sanno più dire sì, come Lei a Nazareth, e si rannicchiano nell’egoismo e rompono la molla dell’amore. Piange perché le spose rifiutano il proprio grembo perché faccia da giardino ai nuovi fiori e strappano con rabbia o disperazione i germogli appena accestiti.

Piange come Rachele in Rama perché i suoi figli più non sono

Piange con le mamme i cui figli si son smarriti nei tunnel tortuosi e viscidi della vita, nelle arene della violenza, nelle paludi del sesso, nelle nebbie della droga, o han giocato la vita sull’asfalto delle strade, o han venduto l’amore. Piange sugli uomini schierati in opposte trincee e che si insidiano a vicenda la vita. Sui bambini di coloro che muoiono di fame a sciami di disperazione nei deserti d’Africa o nelle periferie delle grandi città americane. Piange sul peccato del mondo... sulla disperazione esistenziale ed ecologica, su un mondo che pare non avere domani... Piange. Ma quel pianto è salito ai vertici della più grande poesia nei versi di Jacoponi da Todi, o nelle note lancinanti dello Stabat Mater di un Pergolesi o di un Mozart. Ma il pianto di Maria non ha mai il singulto della disperazione, ma contiene sempre il gemito della speranza. Non avviene nell’ombre cupe della notte come in Giuda, ma alle soglie dell’alba come in Pietro quando il gallo annuncerà il nuovo giorno. Un giorno nuovo ci sarà per gli uomini. Anche per noi tutti vale la garanzia di Ambrogio alla madre di Agostino: I figli di tante lagrime non potranno andar perduti. Ma sapranno tornare alla casa del Padre. Non per nulla, anche a Pennabilli, la lagrimazione miracolosa avvenne pochi giorni prima dell’inizio della primavera in concomitanza con la resurrezione. 

Le lagrime di Maria sono il sigillo dell'uno e dell'altra cosa

La ricorrenza del V centenario della Lacrimazione nella riflessione del Vescovo G. Locatelli

 La ricorrenza del V Centenario della Lacrimazione della nostra Madonna ci coglie in un’epoca d’intensa ripresa della devozione popolare. Fenomeno di per sé positivo, su cui la Chiesa non può non accentuare la sua attenzione e la sua simpatia. L’Anno Mariano indetto dal S. Padre ha dato un ulteriore particolare carisma a questo fiore, e l’Enciclica Redemptoris Mater illumina puntualmente il senso di questo evolvere del dono di Dio – che è Maria – nella storia del mondo. Il Santuario di Pennabilli è una tesserina, per noi non piccola, di questo vasto disegno di crescita. Ogni parte del mondo è più particolarmente segnata dalla vicinanza di un qualche luogo sacro, famoso ormai per la devozione di generazioni e generazioni. La nostra zona guarda con speciale affetto alla Chiesa che sta in alto. Lì, sta la nostra Madonna miracolosa, incastonata in più opere d’arte, di eccezionale maestria, che i secoli hanno aggiunto e magari sopraggiunto. Pianse la nostra Madonnina. Facciamo memoriale di quella Lacrimazione ormai lontana nei secoli, ma che vogliamo avvertire sempre come contemporanea per la valenza del suo segno. Il pianto è ordinariamente indizio convincente di qualcosa che non va, di qualcosa di piuttosto grave e preoccupante. Per il credente, per l’uomo «uomo», ciò che non va è il male, soprattutto il peccato nelle sue innumerevoli forme. Sostare davanti all’Effigie in S. Agostino, meditare quel Volto, vuoi dire entrare in questo senso di compunzione che risente nel suo cuore chiunque faccia paragone tra ciò che lui è attualmente, sotto il profilo morale, e ciò che dovrebbe essere per via della sua ineludibile vocazione alla santità. Già è colpa non essere «santi»; significa che sbagliamo «il bersaglio», poiché il Battesimo ci ha costituito santi, perché fossimo santi. Ho detto di avvertire anche disagio... e sono davanti alla mia Mamma! Si tratta di un disagio salutare e, appunto per ciò, più coinvolgente ancora. Mi rendo sempre più conto che non mi si addicono scelte di mediocrità, andazzi. Parrebbero poca cosa, ininfluente sulla vita concreta; addirittura sono tentato di dire che non vado neppur male. E assai di più dovrebbe farsi sentire l’inquietudine, sempre davanti al Volto miracoloso, se ci fossero infrazioni gravi, attuali o abituali: mancanza di fedeltà alla domenica, ad un minimo di preghiera, coabitazione con occasioni gravi di peccato; addirittura reati morali quali l’adulterio, l’aborto, il furto, il rifiuto grave della solidarietà, dei miei precisi doveri civili. Va detto comunque che questi pensieri gravi non mortificano la festa, la gioia del Centenario. Anzi! Accingersi a celebrare il Centenario, vuoi dire osare mettere i piedi sui sentieri dell’Esodo, del riconoscimento delle mille schiavitù che mi umiliano come cristiano e come uomo. E non si tratta solo d’ammettere ciò. Sarebbe comunque già un grosso passo. Devo prendere partito, cambiare: questo vecchiume, questo ciarpame lo spazzo via. Chiedo alla potenza dello Spirito un cuore nuovo. Sono disposto ad espormi a rischi del genere, salendo a S. Agostino in quest’anno giubilare? Che debba essere davvero l’occasione buona per una sterzata verso il «pulito», addirittura nella direzione della santità? I nostri vecchi hanno caricato d’arte quella Madonna; ed è una fortuna. Molti non si saranno fermati a quelle esteriorità, è chiaro. Conoscevano bene anche loro cosa importava la vera devozione. Noi «restauriamo» con gioia e finezza il monumento insigne; ne aveva bisogno. Di pari passo, ci consegniamo al «restauro», di cui quello accennato sopra è soltanto segno. Restaurarci! Tornare ad essere anche noi l’icona di Dio, come Maria lo fu in modo impareggiabile.pennabilli9.jpg (46815 byte)

Giovanni Locatelli

PREGHIERA (Composta per il VºCentenario delle Lacrime: 1489-1989)

0 Vergine Maria, Madre delle Grazie, a te fiduciosi rivolgiamo la nostra preghiera nella ricorrenza centenaria della tua prodigiosa lacrimazione.

Hai pianto sui mali morali e fisici di noi tuoi figli. Ne avvertiamo e ricordiamo il salutare richiamo.

Raccolti ai tuoi piedi ti rinnoviamo il nostro «grazie» per questo tuo delicato amore materno verso di noi.

Imploriamo con filiale fiducia la tua intercessione. Ora più che mai ne abbiamo bisogno.

Santissima Vergine Maria, addolorata per la nostra ostinazione nel male e per la nostra fragile volontà nell’operare il bene, ottienici dallo Spirito Santo: – la coscienza del peccato, che abbiamo smarrita; – la capacità di piangere e detestare le nostre colpe; – la forza di perseverare nel cammino della fede e della grazia.

Nel ricordo della tua benefica peregrinazione attraverso le parrocchie della Diocesi, ti affidiamo e raccomandiamo nuovamente la nostra Chiesa che è in San Marino-Montefeltro. Arricchiscila di sante vocazioni sacerdotali e religiose. Benedici e illumina il nostro Vescovo. Ridona ai giovani il volto luminoso della purezza e della generosità. Rendi gli sposi fedeli nell’amore e aperti alla vita.

Per la potente intercessione delle tue lacrime, imploraci dal Cuore misericordioso del tuo Figlio la grazia di rinnovare i nostri cuori, così che: – dove ora c’è aridità, ci sia fervore; – dove c’è indifferenza religiosa, ci sia ricerca sincera di Dio; – dov’è peccato, ci sia il perdono e la grazia; – dov’è egoismo, ci sia solidarietà.

O Madre nostra Maria, avvalora presso l’Eterno Padre queste suppliche, conserva salda la nostra fede, fortifica la nostra speranza, aumenta la nostra carità.pennabilli10.jpg (59483 byte)

E rivolgi sempre su di noi tuoi figli quegli occhi tuoi misericordiosi, o clemente, o pia, o dolce Madre di Dio e Madre nostra Maria.

Preghiera

A TE MARIA /MADRE DELLE GRAZIE / CHE CINQUE SECOLI OR SONO PIANGESTI / SULL’AMARO DESTINO DEI FIGLI PENNESI/ E CHE ANCOR OGGI PIANGI / IN TANTE PARTI DEL MONDO /PER LE TENEBRE DENSE CHE / MINACCIANO LA LUCE / SIA GRADITO QUESTO OMAGGIO / CHE NEL QUINTO CENTENARIO / IL CLERO E IL POPOLO PENNESE / CIRCONDATI DALLE GENTI DELLA DIOCESI/ CHE TU CONSOLASTI PELLEGRINA DI PACE/ DOPO L’IMMANE TRAGEDIA BELLICA/ LE TUE LAGRIME / TI SIAN OGGI PERLE DI IMPERITURA CORONA / E A NOI LUCE NEL BUIO DEL NOSTRO CAMMINO/ POSSA A TE D’INTORNO ANCORA / RADUNARSI UN NOSTRO VESCOVO / CON I SACERDOTI E FEDELI / CHE FURONO CHE SONO E CHE SARANNO/ SII STELLA DI LUMINOSA GUIDA / ALLA NAVICELLA DI PIETRO / E AL MONDO INTERO / CHE SEMBRA NAUFRAGARE / NELL’OCEANO DEL MALE/ OVE L’AQUILA FELTRESCA / POSÒ GLI ARTIGLI SULLA BICUSPIDE ROCCA/ DI PENNA E DEI BILLI/ TU MISTICA COLOMBA DI PACE / SPOSA DELLO SPIRITO SANTO / FA ANCORA UDIRE COME UN TEMPO IL GEMITO / NEGLI ANFRATTI DELLA RUPE / CHE ANNUNZI PASSATO /L’INVERNO DEL PECCATO / E RITORNATI I FIORI DI PRIMAVERA / PER TUTTI GLI UOMINI

FIAT