OTTO SECOLI DI RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE  di   FRANCESCO V. LOMBARDI

pennabilli1.jpg (57657 byte)Questa chiesa è comunemente chiamata Santuario di S. Maria delle Grazie di Pennabilli; che dal clero è ufficialmente denominata S. Agostino: ma il suo vero antico titolo di chiesa parrocchiale è S. Cristoforo, al quale fu originariamente dedicata. Ecco perché per scoprire la più remota presenza e la sua evoluzione ecclesiastica e anche architettonica, la più moderna ricostruzione e i susseguenti restauri dell’edificio, bisogna sempre far riferimento a questo eponimo a questo patrono, cioè S. Cristoforo. D’altra parte tutti questi eventi materiali sono per lo più collegati al Sacrario che la chiesa stessa contiene: il Santuario della Madonna delle Grazie. Negli ultimi quattro secoli il sacello ha avuto tutta una serie di dissertazioni storico-teologiche, mistiche e devozionali. Basterà ricordare quelle inedite del Mastini (1522) o del Conticelli (1658) o dello Zucchi Travagli (1750); oppure pubblicate in opere specifiche come quelle del Magnani (1602), del Vanzi (1667), del Mattei Gentili (1865), del Besi (1900) e del Tani (1925); o inserite in opere più generali, come quelle dell’Olivieri (1644), del Guerrieri (1668), del Calvi (1749), del Contarini (1753), del Dominici (1966). Tutti questi autori, però, hanno in gran parte trascurato il contenitore della venerata cappella, cioè la chiesa in cui essa è inserita e conservata, e le sue vicende storico-architettoniche nel corso di almeno otto secoli: di qui la motivazione di questa ricerca, e nello stesso tempo i suoi limiti di angolazione. Peraltro l’argomento espresso nel titolo non vuole essere limitato ad una descrizione puramente tecnica delle fasi costruttive e ricostruttive: a tal fine sarebbe stato ben più qualificato l’intervento di specialisti della scienza delle costruzioni.pennabilli3.jpg (49756 byte)L’intendimento dello storico è invece quello di cercare di intuire e far trasparire dagli scarsi elementi conosciuti, il processo diacronico di una comunità, come modello, riflesso nello specchio di una delle sue maggiori espressioni culturali, oltre che spirituali: cioè l’edificio che ha materializzato più di ogni altro, più della stessa Casa del Comune (già esistente a Pennabilli nel XIV sec. ) lo spirito di una piccola società civile. La vita medioevale era essenzialmente vita religiosa e la chiesa parrocchiale di S. Cristoforo era il polo di convergenza di tutto questo microcosmo del castello della Penna. Infatti il castello dei Billi, posto quasi di fronte ad un tiro d’arco, aveva la propria chiesa parrocchiale di S. Nicolò, con propria autonomia religiosa, oltre che civile. Nelle chiese parrocchiali erano settimanalmente riunite le popolazioni locali; le famiglie vi celebravano i loro battesimi, i loro matrimoni, vi seppellivano i loro morti di vecchiaia, di peste, di fame, di disgrazia e di violenza. Qui, per religiosità sentita mista a superstizione ancestrale, si facevano voti e offerte devozionali, si confessavano i peccati confessabili e inconfessabili. Dentro le chiese parrocchiali si tenevano le riunioni dei consigli comunitari; fuori delle chiese, sul sagrato o nella piazza si tenevano feste, fiere e mercati. La chiesa quindi rappresentava un simbolo fisico e metafisico, giuridico e sociale. Ecco quindi l’importanza religiosa, ma anche economica e culturale di questo luogo cultuale, ubicato dentro le mura del castello, sotto i baluardi della scomparsa rocca antica. Ecco perché la chiesa parrocchiale, come istituzione giuridico-canonica nasce contestualmente al castello. Ora è difficile documentare quando è stato fondato il castello di Penna. Può darsi benissimo che questo luogo sia stato abitato da tempi remoti, ma la chiesa di S. Cristoforo sorse con la fondazione del castello in epoca medioevale, anche se prima poteva esistere come luogo di culto di quella comunità che decise di stanziarsi su questo ciclopico spalto calcareo, da dove si domina gran parte della valle del Marecchia, e che è ben visibile come punto inconfondibile, come segnacolo direzionale, dalla direttrice valliva che si snodava lungo il fiume. Sotto questo aspetto non è casuale la dedicazione al Santo che, più di ogni altro, fu il patrono e il protettore di viandanti, pellegrini, mercanti, spiriti errabondi. È quindi da sfatare la tradizione secondo la quale la chiesa di S. Cristoforo sarebbe stata fondata da un semplice privato, cioè da un Antonio Palmerini verso l’anno Mille. Quindi la ricerca su un edificio di culto come quello di S. Cristoforo della Penna, si inquadra nel contesto di un meccanismo storico che coinvolge la storia religiosa, politica, sociale ed economica della comunità di Penna e Billi per un arco di almeno otto secoli: è un discorso che – ovviamente - non si può fare nel breve spazio di poche pagine. Di conseguenza, tutto quello che si dirà presuppone un retroscena storico che incornicia la nascita del castello di Penna e di quello contiguo dei Billi, la vicenda storica della unione (non sempre stabile) delle due comunità (circa 1359-60), l’espansione da comunità di castello a comune di territorio con l’annessione di Maciano (1361), l’unione urbanistica dei due nuclei castellani e la nascita della Piazza del «Mercatale», l'ampliamento urbanistico e l’allargamento delle mura, l'aprirsi di nuove porte come Porta Carboni e lo scomparire di altre porte come porta Matelda, l’espansione del Borgo a sud (Plano de Penna), fino all’innestarsi delle case sulle residue mura malatestiane, sulle più recenti mura feltresche (1463) o sulle finali mura roveresche. In quest’ottica si può comprendere come anche la antica chiesa parrocchiale del castello di Penna subisca cambiamenti, muti orientamento, cambi gestione ecclesiastica, assuma addirittura una nuova funzione e una nuova denominazione nella comune accezione popolare, pur rimanendo la parrocchia principale del castello e del circondario, anche quando si troverà in concorrenza con la antica chiesa fuori del castello, «extra castrum», dedicata a S. Bartolomeo, prospiciente la nuova piazza del Mercatale: la quale cappella assumerà la funzione di collegiata, ma mai di parrocchia. La chiesa di S. Cristoforo della Penna era sicuramente esistente alla fine del 1100. C’è infatti un poco conosciuto atto del mese di giugno dell’anno 1200, con il quale Giovanni di Giovanni di Malatesta di Strada fa una transazione con la Pieve di S. Pietro in Messa: questo contratto riporta in lingua volgare: «Meta a Sancto Ristofano a la Pinna».Ciò significa che la chiesa di S. Cristoforo esisteva già prima, come molte altre chiese del Montefeltro che ci sono rimaste pressoché intatte e che sono datate: il duomo di S. Leo anno 1173; la pieve di Carpegna anno 1182; la cappella di S. Marina di Novafeltria anno 1191; o come altre non datate, ma della stessa epoca: S. Pietro in Messa; S. Maria dei Billi. Cioè tutti edifici di epoca romanica. Anche la costruzione di S. Cristoforo era disposta sullo schema tipico delle chiese romaniche, cioè impostate sull’asse ovest-est, con l’abside rivolta ad oriente, secondo una regola costante della architettura romanica. Ecco invece che la attuale costruzione (del 1522) è girata di 70 gradi rispetto a quella antica, perché ha una direzione nord-ovest/sud-est di 160º. Ma ci sono altre testimonianze che ci indirizzano verso questa direzione. In primo luogo resta la via attuale - che è rimasta inalterata e che è orientata perfettamente a est, e che veniva a sbucare nella piazza, ove si arcuava la primitiva abside semicircolare. Ma ben più importante è la riscoperta dell’originaria base dell’altare romanico, ora situata proprio davanti all’altare della Madonna. Come in ogni edificio romanico questo altare era sopraelevato di circa due metri rispetto al piano della chiesa e sotto l’altare si apriva la cripta, come nella vicina pieve del Messa. L’impasto di malta durissima su cui è impostata la base dell’altare non è altro che la calotta della cripta romanica originaria. Nel 1200 dietro a questo altare non c’era ancora il muro su cui vennero poi affrescate le scene della Vergine, ma c’era un coro concavo e all'esterno un abside che si protendeva a semicerchio ove c’è ora la piazzetta: tale piazza era molto più larga (non c’erano le case del 1580) e molto più bassa, tanto che la chiesa appariva sopraelevata rispetto ad essa. La base dell’altare è rimasta fissa al suo posto, il pavimento della chiesa è stato via via rialzato e così pure la piazza esterna. Secondo l’opinione di chi scrive l’originaria abside semicircolare, verso i primi decenni del Trecento (forse dopo il terremoto del 1308) fu atterrata e al suo posto fu alzato un muro retto. Questo all’esterno fu affrescato in tempi successivi in più strati sovrapposti, l’ultimo dei quali dovrebbe essere della seconda metà del secolo stesso. Ma se la parete era affrescata all’esterno, a maggior ragione doveva esserlo all’interno, dove c’era l’altar maggiore e dove oggi c’è l’affresco della Madonna delle Grazie. Quando questo fu eseguito (ca. 1432), con ogni probabilità il pittore si trovò di fronte un altare inamovibile perché impostato su una cripta, e uno spazio murale già esistente ed immodificabile anche in altezza, cioè angusto per le due scene che in ordine verticale aveva avuto il compito di realizzare. Ecco perché – a nostro avviso - la fascia inferiore dell’affresco della Madonna risulta in parte nascosto alla visuale dei fedeli della navata ad opera della mensa e del supporto dell’altare stesso. Questo inconveniente in parte venne ad essere superato allorché quasi contemporaneamente tutta la navata fu alzata al piano dell’altare. Come si è detto, già dalla prima metà del 1300 l’edificio fu ristrutturato e verso la fine del Trecento o nei primi decenni del 1400 fu rifatto. L’abside semicircolare fu tagliata e al suo posto fu alzato un muro terminale ad angolo retto rispetto al perdurante asse della chiesa. All’esterno si allargò la piazza. Questa, già in un documento del 14 sett. 1374 risulta Platea ante dornum Communis». Ora un altro atto dell’8 maggio 1384 risulta fatto «ante Portam Ecclesiae iusta Viam» e non presso la Piazza. Un altro ancora del 22 maggio successivo è rogato invece «in platea publica ante Portam Ecclesiae». La spiegazione che si ricava è che l’ingresso della antica chiesa esistente a tale epoca era sulla parete laterale destra, perché la facciata era a contatto delle mura del Comune, mentre dall’altra parte c’era il cimitero. Cioè l’ingresso era proprio sotto l’uscita della attuale Porta Malatesta, dove poi fu fatto l’ingresso del convento che ancor oggi si vede, sotto la loggetta. Ora questo ingresso della chiesa aveva un portico che si estendeva per tutto il lato verso la piazza, cioè sotto la attuale porta e piazzetta. Si comprende così come sul muro esterno, proprio dietro l’immagine della Vergine, il paramento di allora fosse pieno di affreschi votivi: ce ne rimane uno che è ancora nascosto dietro il frammento murario dell’affresco della Vergine: raffigura S. Antonio Abate ma si vede chiaramente che sotto questa ridipintura ve n’è un’a}tra anteriore: forse staccandoIa si potrebbe evidenziare l'immagine affrescata di S. Cristoforo. pennabilli2.jpg (68725 byte)L’antica parrocchia del castello della Penna cambiò gestione alla fine del ’300. Il 13 agosto 1374 a Talamello, Frate Matteo da Poggiolo Priore degli Agostiniani di Romagna, ottenne da Claro Peruzzi vescovo di Montefeltro, di spostare i suoi frati dal convento di Miratoio diroccato dai terremoti e infestato dai malviventi, nella chiesa di S. Cristoforo «cum cimiterio et ortis positis post domos». In realtà la concessione del vescovo era nulla, come lo era stato nel caso dello spostamento dei francescani dal convento della Faggiola a quello di Macerata Feltria, dieci anni prima (1364). E infatti il convento di Miratoio continuò a sussistere: era più facile creare una nuova comunità cenobitica - con l’espressa autorizzazione del papato avignonese - che spostarne una esistente. E fu così anche per i frati agostiniani di Pennabilli che si costituirono come nuovo convento, cioè come nuovo «locus». Ora su undici testamenti dei mesi seguenti (sett.-nov. 1374) tutti i disponenti vogliono essere sepolti «apud ecclesiam» o «apud locum» Sancti Christofori seu Eremitani Sancti Augustini de Penna». Stesso fenomeno dieci anni dopo, nel 1383-84: su otto testamenti rimasti, tutti i disponenti continuano a voler essere sepolti nel cimitero e non in chiesa. Questo sta a significare che ancora la chiesa non era stata ristrutturata e che ancora non c’erano le sepolture sotto tutto quanto il pavimento antico. Per contro, dal 1374 in poi, tutti i testamenti che ci sono rimasti, presentano lasciti «pro fabrica», «pro cuncio», «pro concimine», «pro loco sancti Christofori seu sancti Augustini». Il 24 settembre 1374 Martino di Michele lascia 8 soldi «pro uno magistro causa atande eclesie». Il 24 seguente Antonio di Santuccio lascia per la fabbrica della chiesa quanto prenderanno due maestri al giorno per il loro lavoro. Il giorno prima un certo Signorolo aveva lasciato il necessario per la paga di un maestro muratore. Non si tratta cioè dei soliti lasciti per la previsione del restauro o della ricostruzione degli edifici sacri, com’era cosa usuale. Da parte dei frati – di recente arrivati - c’era invece la necessità di provvedere in tempi relativamente brevi all’ammodernamento del complesso parrocchiale secondo le occorrenze logistiche del nuovo complesso cenobitico. E invece di fondamentale importanza il testamento di Nardo fu Ugolino Palmerini del 27 settembre 1383: Egli infatti lascia al convento di S. Cristoforo ossia di S. Agostino cento lire di moneta ravennate «causa edificandi ibidem in dicto monasterio unam Capellam cum uno altare super quod cellebretur missam ad reverentiam omnipotenti Dei et gloriose Virginis Marie et omnium sanctorum et sanctarum...» e poi alla «Capelle seu Ecclesie sancte Marie applicate cum loco Sancti Augustini de Penna pro cuncio ipsius XLV sol. ravennatensium». Quindi una cappella dedicata alla Vergine esisteva già ed una doveva essere costruita con dedica cumulativa. Si spiega così come il culto della Madonna - promosso dai frati agostiniani – possa avere avuto contributi di privati, come la Famiglia Palmerini, la quale poi, nei secoli successivi, rivendicò addirittura la fondazione della chiesa di S. Cristoforo, arretrandola all’anno Mille. Si spiega così anche la notizia tramandata dalla pergamena del 1432, sui vari spostamenti dell'altare della Madonna ad opera di privati, nei quasi cinquant’anni precedenti. Il fatto che il portico esterno fosse ancora esistente nel 1413, sempre davanti alla piazza ed a lato della «casa del Comune», conferma in fondo che l’operazione avvenne dopo tale data. Tutto quindi viene a confermare il documento del 1432: fra queste due date (1413-1432) fu rifatto o consolidato il muro dell’abside, tagliato ad angolo retto rispetto alla navata; all’interno fu fatto fare l’affresco della Vergine: ma la base dell’altare antico restò fissa ed ecco perché il suo orientamento restò spostato di 9 gradi rispetto al nuovo muro absidale, a testimonianza di un più antico e perfetto orientamento della precedente chiesa romanica. Si è anche detto che l’antico altare doveva essere rialzato rispetto al piano della navata; ebbene in questo periodo ed in questa fase tutto il pavimento fu alzato di circa un metro e mezzo, per portarlo all’altezza della base dell’altare. Lo spazio dell’intercapedine sottostante fu utilizzato con una serie di cunicoli per le sepolture che ancor oggi si possono verificare per tutta l'estensione trasversale della chiesa, dall’altare della Madonna fino all'androne di accesso del trecentesco convento agostiniano. Questi cunicoli andrebbero archeologicamente riaperti e scientificamente studiati. In ogni modo è possibile ricostruire la dimensione della chiesa trasversale, partendo come centro proprio dall’altare della Madonna. La larghezza è stata verificata in circa dieci metri e la lunghezza in venti metri, corrispondenti alle antiche misure proporzionali dell’edificio romanico. Tutta una serie di verifiche strutturali conferma questa deduzione documentaria. Recentemente fu scoperta intorno alla base dell’altare romanico, che è incardinato sulla malta della cripta primitiva, una stratificazione di vari pavimenti. Il più basso di essi, cioè il più antico che si vede, è dei primi decenni del 1400 ed è costituito da quadrelle in cotto del formato di cm. 19x19. I cunicoli tombali sono proprio sotto questa pavimentazione e quindi sono contemporanei ad essa. Sopra tale strato c’è un più tardo pavimento di mattoni oblunghi del formato di cm. 29,5x14, di una sovrapposizione pavimentale attribuibile alla seconda metà del ’400. Su questi mattoni poggia il sacello della Madonna delle Grazie che è del 1528. Sopra questo livello si trova invece tutto il pavimento cinquecentesco in squadroni in cotto del formato di cm. 30x30, del quale abbiamo scoperto l’atto di commissione del 1534. Quindi, il primo cambiamento strutturale fu determinato dalla introduzione del culto mariano, così caro agli agostiniani, al posto di quello di S. Cristoforo. Questa fase si concluse nel 1432, allorché come ci conferma pergamena originale ancora conservata – Giovanni Seclani vescovo di Montefeltro (lo stesso che aveva fatto affrescare la cella di Talamello), davanti all’altar maggiore riconsacrò la mensa sacra, dedicandolo in perpetuo alla Vergine: e qui, per giustificare la variazione del culto da S. Cristoforo a «Sancta Maria Novissima de Gratiis» si dovette forse escogitare un falso storico. Casualmente Frate Tommaso da Rimini, già priore del convento aveva sollevato la piccola pietra consacrata dell’altare e in essa (secondo la memoria) si trovò scritto che nel 1222 Papa Onorio III (1216-1227) provenendo da Roma e fermatosi a Pennabilli, dedicò questo altare «ad honorem Virginis Marie quod altare nuncupatum fuit Sancta Maria Novissima de Gratiis». In realtà, papa Onorio II, eletto già vecchio, non si mosse mai dai dintorni di Roma, ma ebbe contatti epistolari con Rolando vescovo di Montefeltro. Di qui il rinvio storico . Ma la chiesa dal 1432 in poi aveva ormai assunto la sua più connaturale veste di santuario mariano, più che di parrocchia, richiamando folle di fedeli per le festività, con offerte votive, lasciti testamentari, ultime volontà di sepoltura all’interno del nuovo luogo di culto, negli avelli pavimentali ormai segmentati per tutta l’intercapedine della sopraelevazione del livello della navata. Tutto ciò risulta dagli atti notarili che ci sono rimasti dalla fine del ’400 a oltre la metà del ’600. Si rinnovò quindi la necessità di programmare un ulteriore allargamento della chiesa.Nel suo testamento del 9 febbr. 1502 Antonia fu Paolo Magalotti lascia i soliti 5 soldi per la fabbrica della chiesa. E questo era normale, come accantonamento per eventi imprevedibili. Senonchè aggiunge altri 40 soldi in caso di necessità di fabbrica e questo è sintomo che già c’era l’esigenza o per lo meno l’intenzione da parte dei frati di procedere ad una ristrutturazione radicale. Così un altro atto testamentario di Marino della Petrella del 5 agosto 1502 rivela lasciti analoghi. Una ulteriore pergamena conservata a Palazzo Carpegna del 22 maggio 1509, conferma che Giovanni di Gaspare della Penna lasciò dieci lire per «proseguire la fabbrica della chiesa di S. Cristoforo» già programmata- La raccolta dei fondi dovette durare per vari decenni finchè il 19 gennaio 1521 si fece il contratto: «Mastro Francesco figlio di mastro Cesare di Carpi, muratore, abitante a Rimini, su instanza e richiesta del venerabile Padre Fra Nicola fu Pietro da Penna dei Billi, dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino, stipulante per sé e per conto degli Uomini del castello di Penna dei Billi della diocesi di Montefeltro, per sé e per i suoi eredi fu contento e confesso di aver ricevuto dallo stesso fra Nicola 5 ducati sul conto di 20 fiorini per ciascun ducato, come parte del salario e della retribuzione promessi dai detti  Uomini per la fabbrica della chiesa di S. Cristoforo da edificare ad opera del citato  Mastro Francesco nel detto castello di Penna dei Billi, giusta la promessa fatta dallo stesso Mastro Francesco in una privata scrittura redatta nell’anno 1520 il giorno 8 del mese di dicembre... alle condizioni che il detto Mastro Francesco sia tenuto e debba cominciare a lavorare alla suddetta fabbrica all’inizio del mese di maggio successivo e portare a termine l’opera nel giro dei 5 anni seguenti». Chi era questo mastro Francesco, molto noto a Rimini? Ancor oggi il suo soprannome viene ogni giorno infinite volte pronunciato, senza che molti lo sappiano. Ricorderò, per esempio, alcuni passi di altri atti: uno del 1538: «Providus Vir Franciscus Magistri Cesaris de Carpo murator et abitator crimini, alias dicto Gambalunga...»; il suo testamento del 2 aprile 1551: «Franciscus alias nuncupatus Gambalunga quondam magistri Cesaris de Carpo» volle essere sepolto (caso veramente significativo) presso la chiesa di S. Maria delle Grazie fuori delle porte di Rimini. Il Gambalunga ebbe dunque una particolare devozione per la Madonna delle Grazie. L’opera del Gambalunga portò la chiesa nella sua struttura attuale. Egli ne girò l’asse di 70 gradi; l’allungò sul retro nell’area del cimitero e dell’orto; ne ampliò la parete sinistra cornu evangelii, lasciando il troncone di muro ove era l’affresco all’interno della parete; innestò il nuovo coro, cioè il cosiddetto cappellone, nell’area delle case che erano dei Mastini. Il contratto dei 5 anni dovette essere portato a termine solo per quanto riguarda il grezzo del fabbricato: infatti il sacello monumentale della Madonna porta la data del 1528 e già nel 1531 il Gambalunga aveva in appalto la costruzione del tratto di mura di Rimini fra Porta S. Andrea e la Rocca. Comunque i lavori interni dovettero andare avanti per anni. Infatti con testamento del 21 maggio 1535 Paolo di Francesco Sensi dei Billi lasciò alla chiesa di S. Cristoforo venti bolognini «pro constructione et fabrica Capelle Maioris in dieta ecclesia iam construende». Così l’anno dopo 1536, 11 genn. Marino di Giovanni Simoni lascia pure 10 grossi «pro fabrica maioris capelle in diete ecclesie construende».Oltre alla Cappella-Sacello delle Grazie, in S. Cristoforo vi erano altre cappelle, come quella di S. Rocco, che nel 1530 doveva ancora essere costruita, e che era il patronato del comune di Pennabilli. C’era la cappella del Corpo di Cristo; la cappella-sacello di S. Monica (madre di S. Agostino), già esistente nel 1543 e nel 1565. Nella visita del Famagostano del 1574 risultano esistenti tre cappelle legate alla confraternita, alla famiglia Magi e alla famiglia Franchini. Ma dalle tombe poste sotto il pavimento della chiesa usciva un tale fetore che per sei mesi fu vietata ogni sepoltura. Il pavimento nuovo risaliva al 1534. In un atto del 29 dicembre 1533, in pieno inverno, nella sala del convento «ubi ad presens ignis agitur» Marco di Filippo, gestore di una fornace sul Marecchia, promise a Frate Cesario, priore del convento, di consegnare e murare dieci mila quadrelle di terra cotta «ad explanandum aliter da piancire ecclesiam sancti Christofori».. Attorno all’altare e nel coro ci sono ancora queste quadrelle che il contratto prevedeva in opera entro il febbraio 1534. La costruzione del campanile andò un po’ più per le lunghe. Il priore del convento si rivolse alla Compagnia della Madonna delle Grazie per avere un contributo nel 1584. E poi si rivolse al Comune di Pennabilli. Le delibere del 15 luglio, 12 agosto 1584 e 3 marzo 1585 portarono da 70 a 100 lire il contributo della comunità, per quel campanile che si vede svettare sulla chiesa nel quadro della «Madonna delle Grazie». La sua impostazione appena a destra del Cappellone centrale rivela ancora una volta il cambio di orientamento della chiesa e l’utilizzo di una precedente torre che stava a guardia della porta «Malatesta». Per l’opera di costruzione della chiesa, oltre che per l’intensa attività edilizia di quegli anni, dovettero essere chiamati muratori e scalpellini dal Nord Italia. È documentata la presenza in loco di un Mastro Giorgio Longobardo, morto nel 1527; di un Antonio di Maestro Cristoforo fornaciaro, il quale nel 1528 vendeva terre all’Antiata, di dove traeva la legna per la sua fornace; nel 1531 è presente mastro Francesco di mastro Bernardo de Valle Luchani. I tre figli di Mastro Marco Lombardi, pure della Valle di Lugano, sono ormai stabilmente residenti alla Penna fra il 1537 e il 1543. Fra questi nomi, forse va trovato l’ignoto scalpellino, o uno dei suoi aiutanti, che cesellò e innalzò questo magnifico monumento in pietra che incornicia l’affresco della Madonna delle Grazie. Riassumendo si può dire che la chiesa di S. Cristoforo è nata con lo stanziamento di una comunità cristiana su questo luogo strategico; continuò ad esistere come cappella parrocchiale, come chiesa «intra muros», fin dalla fondazione ufficiale del castello della Penna per tutto il Medioevo. L’edificio era volto a oriente già in epoca romanica. Questa parte terminale fu tagliata già prima forse dell'arrivo dei frati agostiniani nel 1374. Certamente fu da essi ristrutturata allorché le vecchie case parrocchiali vennero adattate a convento. In concorrenza con la chiesa di S. Bartolomeo fuori delle mura e prospiciente il fiorente centro del Mercatale, la chiesa del castello venne ad assumere una funzione di santuario mariano, con la dedicazione dell’altar maggiore alla Vergine nel 1432. Il grande concorso di fedeli, ingigantito a seguito dei miracoli più famosi del 1489 e 151pennabilli5.jpg (31899 byte)7, impose un ampliamento dell’antica costruzione, per portarla allo stato attuale, con rotazione dell’asse di 70 gradi, con l’allungamento sul retro verso il cimitero, e l’innesto del cappellone entro le case dei Mastini ad opera dell’architetto Gambalunga di Rimini fra il 1522 e il 1528, datazione del compimento del sacello monumentale. Questa è la struttura che fondamentalmente oggi rimane. Fra Seicento e Settecento furono cambiate solo alcune infrastrutture interne. Attorno al 1750 un fregio con i ritratti dei beati dell’Ordine Agostiniano girava in alto per tutto il muro della chiesa. A titolo di memoria storica ricorderemo il restauro del 1874 che riguardava l’arco soprastante l’altare del Comune, con incarico al muratore Pazzini. Da notare quelli ancor più rilevanti, che sono testimoniati dal Besi: «Veramente coi restauri del 1889 la chiesa di S. Cristoforo ha perduto alquanto della sua maestosa antichità: nondimeno essa apparisce ancora, com’é di fatto, la più antica chiesa di Pennabilli». Parole di una profonda verità, se lette alla luce di una trasformazione edilizia che si è sedimentata in questo luogo per un lungo arco di almeno otto secoli, dalla fine del 1100 agli anni 1950, allorché fu restaurata, secondo le linee esterne ed interne che ognuno oggi può osservare.