I DUE VOLTI DELLA GRAZIA  (Dal Settimanale diocesano del 17-6-2000)

(Don Agostino Clerici)           

 

San Paolo, quando incontrò Cristo sulla via di Damasco, sperimentò una cecità provvisoria. Poi «gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista». (At 9,18). Adesso vedeva da cristiano, e quelle squame erano il rimasuglio di una lettura pagana della storia.

Pagana nel senso di “ troppo umana “. Il barbaro assassinio di suor Maria Laura a Chiavenna –di cui per giorni hanno parlato e scritto telegiornali e giornali di tutta Italia - è sicuramente uno di quei fatti che possono far tornare le squame sui nostri occhi. E invece bisogna osare una lettura diversa, coraggiosamente cristiana. Nelle pagine interne abbiamo voluto tentarla, con taglio sicuramente giornalistico ma guidata e sorretta da una certezza teologica. Perché affiancare la cronaca di un funerale, con le paro le piene di fede e di lacrime di un vescovo ferito, e la cronaca di una prima Messa, con cui un giovane inizia gioiosamente il suo ministero sacerdotale? La risposta non sta in un accomodante luogo comune secondo cui al pianto segue prima o poi la gioia. Semmai, anche questo luogo comune deve essere trasfigurato cristianamente in quel titolo con cui nella Pentecoste - che cadeva proprio domenica scorsa - invochiamo lo Spirito Santo, Consolatore perfetto. La prima Messa di don Luigi è la «consolazione perfetta» dello Spirito ad una comunità provata per la morte di suor Maria Laura. Non certo al modo di un peso uguale posto sul piatto di una bilancia che un delitto atroce ha drammaticamente... sbilanciato. Non è questa la consolazione dello Spirito. E’ ben di più!. Entrambi gli avvenimenti, pur così diversi, contengono la stessa cifra della Grazia e si specchiano a vicenda in una sublime rifrazione dell'unico vangelo. Don Luigi - e con lui ogni prete, ogni consacrato e consacrata e ogni cristiano – vede che cosa significa essere la vittima del sacrificio che è chiamato a celebrare quotidianamente.

Suor Maria Laura gode dalla sponda del Cielo lo spettacolo ancora tutto umano di una terra che sa germogliare anche dal sangue.

 Vista così, la settimana che ha unito l'Ascensione alla Pentecoste non è composta da una disgrazia contrappesata da una grazia. Ma dall'unica indivisibile grazia del Signore morto e risorto, in cui la croce, il sangue e il sepolcro hanno tutto lo spessore del dolore umano ma portano già il profumo della gloria.

“Andrò a vederla un dì in cielo patria mia…”, cantavano le suore nel cimitero di Chiavenna. Con occhi senza squame.