(Don Agostino Clerici)
San Paolo, quando incontrò
Cristo sulla via di Damasco, sperimentò una cecità provvisoria. Poi «gli
caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista». (At 9,18). Adesso
vedeva da cristiano, e quelle squame erano il rimasuglio di una lettura pagana
della storia.
Pagana nel senso di “
troppo umana “. Il barbaro assassinio di suor Maria Laura a Chiavenna
–di cui per giorni hanno parlato e scritto
telegiornali e giornali di tutta Italia - è sicuramente uno di quei fatti che
possono far tornare le squame sui nostri occhi. E
invece bisogna osare una lettura diversa, coraggiosamente cristiana. Nelle
pagine interne abbiamo voluto tentarla, con taglio sicuramente giornalistico ma
guidata e sorretta da una certezza teologica. Perché
affiancare la cronaca di un funerale, con le paro le piene di fede e di lacrime
di un vescovo ferito, e la cronaca di una prima Messa, con cui un giovane
inizia gioiosamente il suo ministero sacerdotale? La risposta non sta in un
accomodante luogo comune secondo cui al pianto segue prima o
poi la gioia. Semmai, anche questo luogo comune
deve essere trasfigurato cristianamente in quel
titolo con cui nella Pentecoste - che cadeva proprio domenica scorsa -
invochiamo lo Spirito Santo, Consolatore perfetto. La prima Messa di don Luigi
è la «consolazione perfetta» dello Spirito ad una comunità provata per la morte
di suor
Suor Maria Laura gode
dalla sponda del Cielo lo spettacolo ancora tutto umano di una terra che sa
germogliare anche dal sangue.
Vista così, la settimana che ha unito
l'Ascensione alla Pentecoste non è composta da una disgrazia contrappesata da
una grazia. Ma dall'unica indivisibile grazia del
Signore morto e risorto, in cui la croce, il sangue e il sepolcro hanno tutto
lo spessore del dolore umano ma portano già il profumo della gloria.
“Andrò a vederla un dì in
cielo patria mia…”, cantavano le suore nel cimitero di Chiavenna.
Con occhi senza squame.