Intervista a suor Myriam CASTELLI alla vigilia della sentenza ( 2-7-2001)

(Gian Luca Papa)

 

CHIAVENNA - «Chi rimuove la propria colpa non ha futuro davanti a sé». Si apre così l'intervista che suor Myriam Castelli ha concesso al nostro giornale, a pochi giorni dalla sentenza che verrà emessa a carico delle tre ragazze accusate di aver ucciso un anno fa suor Maria Laura Mainetti, madre superiora del convento dell'Immacolata di Chiavenna. Anche lei, come molte altre persone, si è interrogata sul reale significato delle ultime perizie psichiatriche che hanno definito incapaci di intendere e di volere le adolescenti.

«Oggi come oggi - spiega - se una famiglia si trova ad avere un figlio compromesso con la giustizia, la prima cosa che fa è assumere il miglior avvocato perché studi il modo più efficace per tirarlo fuori dal carcere. La soluzione sta sempre nel cercare una scorciatoia che permetta di evitare le conseguenze delle proprie azioni. In queste condizioni il giurista segue ogni strada. L'ultima, è quasi sempre rappresentata dal riconoscimento dell'infermità mentale. Mi domando allora: chi risponde per la bestialità del gesto?».

Sulla vicenda di Chiavenna, la religiosa ha le idee chiare: «Non facciamo confusione, colpa e pena sono due cose diverse. Nessuno vuole entrare nel merito dei sistemi di rieducazione carceraria.

Si chiede soltanto che non venga tolta la colpevolezza di questo atto. Se si banalizza un delitto come quello che ha portato alla morte suor Maria Laura, si apre un'autostrada alle nuove generazioni perché agiscano incontrollatamente su tutto.

Allo stato attuale la nostra società sta vivendo una condizione in cui i piccoli delinquenti sono in continua crescita. Tutto questo perché non vengono insegnati i valori su cui costruire la loro esistenza. La domanda centrale è: « chi ha creato le premesse di questo vuoto?».

Sull'ipotesi di beatificazione per suor Maria Laura Mainetti, la sorella è chiara: «E’ la martire moderna del nostro tempo. E’ morta sul campo, mentre soccorreva chi le aveva chiesto aiuto, compiendo la propria missione e vivendo la propria fine come un olocausto. Quando davanti alle sue assassine lei si è inginocchiata e ha chiesto perdono, aveva già capito che ormai era finita. Aveva compreso di trovarsi di fronte a forze addirittura più potenti di coloro che la stavano uccidendo, forze scaturite dal matrimonio tra un immenso vuoto esistenziale ed energie diaboliche. Non dimentichiamo quello che le stesse ragazze hanno affermato nel corso degli interrogatori le coltellate dovevano essere 18, ma il rito non ha funzionato».

Quale sarà il destino di queste tre giovani?

«Ogni uomo, anche il peggiore di questo mondo può essere recuperato perché ha in sé il germe di Dio. Più che sperare in un alleggerimento di colpa, le inviterei a riconoscere le proprie responsabilità e a ricominciare daccapo, lasciandosi aiutare. Non è certo rimuovendo la loro colpevolezza che potranno ricominciare. Chi lo fa non ha premesse davanti a sé.

Gli strumenti rieducativi potranno avere una validità solo se loro, e chi cammina accanto a loro, intraprenderanno un cammino che inizia dal riconoscimento della colpa».