TESTIMONI EROICHE di un nuovo femminismo

(Lucetta Scaraffa)

 

Bisogna avere anche una buona dose di coraggio fisico, proprio quello che gli uomini hanno tante volte dimostrato sui campi di battaglia, per combattere il male: l’ha dimostrato suor Maria Laura, trovata barbaramente uccisa non lontano dal suo convento di Chiavenna la notte scorsa. Senza dubbio le suore, che hanno rinunciato ad avere una propria famiglia per essere libere di aiutare gli altri, di questo coraggio hanno dato grande prova nell’ultimo secolo, molto prima e molto di più delle donne soldato, diventate negli ultimi anni una realtà nei paesi occidentali. Esse infatti affrontano il male armate semplicemente della loro fede e di un coraggio fondato sulla bontà delle loro intenzioni.

Da quando hanno lasciato i vincoli della clausura, all'inizio dell'Ottocento, le suore hanno mostrato di sapere contrastare il male nelle diverse forme in cui si presentava nella società: come ignoranza, malattia, solitudine e abbandono, nella prima fase, quella ottocentesca. Nell'ultimo secolo hanno trovato le vie e i mezzi per aiutare i più bisognosi, e per allestire quelle istituzioni assistenziali che lo Stato laico non offriva.

Ma non bastava. Si è subito aperto davanti al loro entusiasmo l'impegno missionario: donne giovani e inesperte, che spessissimo non si erano mai mosse dal paese natale, sono partite per territori ignoti e pericolosi, per portare il messaggio cristiano e insieme aiuto e assistenza. Se all'inizio le prime missionarie si muovevano in genere su percorsi già aperti da altri religiosi, oggi sono totalmente autonome e vivono e restano anche nei posti più pericolosi, dove non arrivano neppure le forze di pace dell’ONU o altre organizzazioni umanitarie. E spesso ce la fanno perché la loro passione è talora più forte di quella dei laici impegnati nei soccorsi, perché la loro scelta di vita - già coraggiosa in sé nello scegliere di rinunciare a tutto per realizzare un progetto spirituale - le rende libere da quei legami che impacciano, eppure in un certo senso anche proteggono, le persone «normali» quando devono mettere in gioco la propria vita.

Ma pure le suore rimaste nei paesi di origine, apparentemente più al sicuro, oggi che le loro mansioni più tradizionali di insegnamento e assistenza sono spesso assunte da strutture statali, si dedicano ad aiutare le frange più disperate della popolazione, presso coloro che sembra impossibile salvare: tossicomani, prostitute.

Suor Maria Laura era superiora di una comunità «tradizionale», dove alla scuola materna era affiancato un convitto per studentesse, ma non s'accontentava di questa missione utile. Voleva combattere contro altro male per strappare dalle sue grinfie qualche essere umano che sembrava già condannato. Scelta difficile e coraggiosa, che può comportare perfino - come nel suo caso - il pericolo della stessa vita, perché mette a contatto con le manifestazioni più gravi del male, quello che sembra voluto e non subito, come appunto la droga e la prostituzione.

Sembra impossibile che poco più di cent'anni fa le prime congregazioni femminili di vita attiva abbiano dovuto combattere con l'istituzione ecclesiastica per vedere riconosciuto il loro diritto d'insegnare anche ai bambini, oltre che alle bambine, nonché la possibilità di portare cure mediche anche agli uomini e alle partorienti che ne avevano necessità. Si pensava allora che le donne dovessero essere protette dalle forze più forti del male fisico e morale, si pensava che fossero più fragili davanti alle tentazioni.

Le religiose si sono conquistate questo progressivo allargamento del campo di azione dando prova di straordinarie capacità di iniziativa e di resistenza. E’stata un'emancipazione conquistata sul campo, attraverso l'assunzione di responsabilità sempre più pesanti, che le suore hanno dimostrato di saper sostenere. Al contrario dell'emancipazione ottenuta dalle donne laiche, che hanno combattuto per vedere riconosciuti i loro diritti in nome della democrazia.

Stupisce che in questi anni di rivalutazione del ruolo delle donne e soprattutto di maggiore attenzione per tutto ciò che le riguarda, le religiose non siano state riconosciute come vere e proprie eroine da nessuno,- né che siano mai annoverate fra le poche donne che si distinguono nello spazio pubblico. Ciò accade forse perché sono viste come quelle che rinunciano alla propria volontà, facendo voto di obbedienza. Questo evidentemente sembra contrario a ogni forma di affermazione femminile, e troppo simile alle forme di abnegazione tradizionale. Le suore si prodigano in mille tipi di assistenza, realizzando una forma di espansione dell'amore materno che appare all'opposto di quella scelta di «vivere per sé», di vivere la propria vita perseguendo l'affermazione personale, che sta al centro invece di ogni programma femminista. Si tratta di una contrapposizione ideologica alla scelta di vita religiosa che fa sì che sfuggano gli aspetti di realizzazione e di forte autonomia pur presenti nella vita delle suore.

Quella suora che ha avuto il coraggio di uscire da sola, di sera tardi, per portare aiuto a una donna in difficoltà rischiando la vita, non è solo una martire religiosa, ma è anche un'eroina dell'emancipazione delle donne, e fa piacere sapere che a occuparsi ora del suo luttuoso caso sarà un'altra donna, Luisa Russa, sostituto procuratore del tribunale di Sondrio, mentre fra i primi ad accorrere sul luogo del delitto e a ricordare la figura straordinaria della vittima sia stata anche una donna, Teresa Tognetti, sindaco di Chiavenna.