La devozione mariana nella storia  della Chiesa - Linee generali con esemplificazioni locali

(Don Saverio Xeres – docente di storia della chiesa e direttore dell’Archivio storico della diocesi di Como)

  

Premesse

1.  Non voglio fare qui un noioso e inutile elenco di avvenimenti riguardanti la devozione mariana o i teologi che ne hanno trattato. La storia della Chiesa non é da intendere come un grande contenitore dal quale cavare, a casaccio, ciò che può servire per allinearlo sul tavolo in più o meno bella mostra.

E’ una riflessione della Chiesa sulla propria esperienza storica che l’ha forgiata nel suo essere attuale.

L’oggetto principale di una tale ricerca, e anche della nostra, deve dunque essere la Chiesa.

Ora la devozione mariana si pone non solo come un elemento costante della vita della Chiesa nei suoi duemila anni di storia, ma può essere a buon diritto utilizzato come un punto di osservazione profondo, interiore, dello spirito ecclesiale, dei suoi sviluppi e delle sue involuzioni.

Ciò, oltre che per l’importanza che la devozione mariana ha sempre avuto nella spiritualità cristiana, anche per un motivo teologico recentemente riscoperto e tuttavia risalente alla tradizione anticomedioevale, dove lo troviamo ben diffuso.

Leggiamo un testo solo, esemplificativo di tanti:

 «Come Cristo, discendendo in Maria, ha abitato in lei corporalmente, così egli, ogni giorno, visitando la sua Chiesa, abita in lei spiritualmente. La Chiesa è infatti per lui una madre, perché lo genera attraverso la predicazione della parola; è un’amica, perché condivide i suoi misteri; è una sorella, perché con lui partecipa all’eredità. E come Cristo è nato nel mondo, così ogni giorno nasce nel cuore del mondo. E’ nato in Giudea dalla Vergine, nella confessione della fede nasce dalla Chiesa»[1].

Maria é l’immagine e il modello della Chiesa, pertanto «Chiesa e Maria sono […] due realtà che si spiegano reciprocamente»[2].

Oggi illumineremo solo, e solo con rapidi sprazzi, il primo versante di questa reciprocità, quello che va da Maria verso la Chiesa: l’evolversi della presenza, della considerazione, delle forme di venerazione che Maria riscuote nel popolo cristiano segnalano il progressivo modificarsi del modo di concepire e di vivere la Chiesa. Questo é il corretto taglio di una lettura di storia della Chiesa. L’altro versante – quello che va dalla Chiesa a Maria e che descrive il progressivo illuminarsi della piena immagine della Madonna, con tutte le sue molteplici prerogative di grazia, appartiene piuttosto alla storia della teologia, della mariologia in specie, e lo lasciamo, correttamente e volentieri, ad altri.

 

2. Siccome l’immagine di Maria, per la Chiesa, costituisce un prototipo delle origini (e, a un certo punto, e di conseguenza, della fine, ossia del Regno di Dio),  non sarebbe fuori luogo – come ipotesi di lavoro e pista di ricerca – seguire lo sviluppo della devozione mariana in parallelo con il maturare di uno spirito di re-formatio che, nella storia della Chiesa, come ho tentato di verificare e di documentare in altra occasione, conosce, per ora, tre svolte fondamentali, tutte collocate nel II millennio: i secoli XI, XV-XVI, XIX-XX.

In effetti, pur evitando di far prevalere uno schema prefissato alla considerazione della molteplicità dei materiali storici a disposizione, si noterà subito una forte intensificazione del tema mariano in tutti e tre queste fasi cruciali della storia della Chiesa.

 

3. Un punto di osservazioni come quello della devozione mariana dovrebbe consentire, infine, di esplorare soprattutto quelle zone periferiche o di “base” della Chiesa, quella fascia popolare così spesso dimenticata dalla storiografia ecclesiastica; e ciò soprattutto per la difficoltà della ricerca documentaria e della ricostruzione. Anche qui faremo quel poco che é possibile allo stato attuale di una ricerca che si presenta ancora vastissima per chi voglia contribuirvi. E sarà fatta di riordino (innanzitutto) e di spogli d’archivio, di conservazione (innanzitutto) e di valutazione delle opere d’arti, ma anche di modesti  manufatti artigianali (si pensi alle migliaia di ex voto che dovrebbero ancora esistere, o di giesoo dedicati alla Madonna, se sono ancora leggibili), di toponimi, di espressioni linguistiche locali, di leggende e tradizioni, di canti e laude mariane, se ancora e fino a quando riusciremo a fissarli nella memoria collettiva.

 

4. Infine, nella prospettiva del corso che oggi si inizia, mi è parso utile non soffermarmi, se non per accenni esemplificativi, sulle devozioni e sui santuari locali, sia per il, fatto che verranno analiticamente presentati a suo tempo e luogo da esperti conoscitori, sia perché può essere utile collocare queste singole espressioni locali nella più ampia prospettiva della storia generale della Chiesa. Solo così storia locale e storia generale non si contrappongono o – peggio ancora - non si ignorano, ma si integrano utilmente. Le linee generali illuminano il senso di singole esperienze locali; queste, d’altro canto, permettono di verificare le concrete modalità con cui quelle hanno potuto attuarsi.

 

I – Epoca antica-orientale

 Prima fase (I-III sec.)

In questa prima fase che corrisponde ai secoli iniziali della vita della Chiesa e alla sua collocazione marginale (più che perseguitata, situazione che non si attuò sempre e dovunque, come normalmente si pensa) rispetto all’organizzazione politica e sociale, le rarissime testimonianze ci delineano una posizione di Maria nella Chiesa caratterizzata da estrema sobrietà: né chiese dedicate a lei, né feste, eccetto quella della sua maternità, il 1° gennaio (che, in seguito, significativamente, andrà persa e sarà ricuperata nell’attuale riforma liturgica), legata dunque al ciclo natalizio.

Non che Maria non sia presente, nella devozione, tra il popolo cristiano, Lo attesta fin dai primi secoli l’immagine di Maria che, con il Bambino, accoglie i Magi, raffigurata nelle catacombe di Santa Priscilla e datata al II secolo; lo conferma il ritrovamento di un papiro egiziano del III secolo contenente, in greco, quella che può essere ritenuta la più antica preghiera mariana: in latino Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genetrix («Sotto la tua protezione e la tua misericordia, o santa Madre di Dio, noi ci rifugiamo. Non rifiutare le domande che ti rivolgiamo nelle nostre tribolazioni, e salvaci dal pericolo, o sola casta e benedetta».). Interessante notare che quel appellativo «santa Madre di Dio», in greco è il famosissimo e supremo titolo mariano di Theotokos, quello che le sarà solennemente attribuito al concilio di Efeso del 431 e che darà inizio, come vedremo, alla seconda fase dell’epoca antica-orientale, quella di una grandiosa diffusione del culto mariano.

Per tutta l’epoca antica, dunque, la presenza di Maria risulta ben inserita – al punto da sembrare quasi nascosta – nel popolo dei cristiani; comunque sobria e discreta, tanto che anche al suo massimo grado di esaltazione teologica, essa appare correttamente in posizione essenzialmente relativa a Cristo[3].

 E’ il monachesimo, in particolare, ad avere in particolare considerazione Maria, come ideale di verginità e consacrazione a Dio.

Questa collocazione specifica della devozione mariana inizia, peraltro, a qualificarla secondo l’altro tipico carattere accennato nelle premesse: quello di richiamo alla forma originaria, o definitiva (escatologica) della Chiesa, e dunque di re-formatio.

Non a caso, il monachesimo sorge in modo spontaneo e massiccio nella Chiesa del III-IV secolo, come modalità esigente di vita cristiana, alternativa ad un cristianesimo ormai facile in quanto non solo libero, bensì pienamente appoggiato dall’Impero che lo ha assunto come proprio elemento di coesione religiosa e culturale.

Sono attestate anche, già alla fine del IV secolo, le prime apparizioni mariane, tipica espressione di “libertà” dell’elemento trascendente – in particolare nella sua espressione più vicina alla realtà umana, quindi la Vergine Maria – rispetto alle istituzioni che pretendono controllarlo e, per così dire, “amministrarlo”[4].

 

Seconda fase (V-VII sec.)

Nel frattempo é partita, appunto, una seconda fase, quella caratterizzata dall’installarsi della “cristianità”. Per “cristianità” intendiamo quel complesso e mutevole sistema di concezione ideale e di organizzazione politica della società, prima orientale, quindi anche occidentale, che, in una situazione di pressoché universale adesione al cristianesimo, concepisce come un tutt’uno il regno terreno - ovviamente affidato ad un sovrano cristiano -, l’istituzione ecclesiastica, ovviamente quella riconosciuta “ortodossa” (ossia legata alla retta fede) o “cattolica” (ossia universale, e non di sette momentanee o locali) -; e l’uno e l’altro, insieme, quale anticipo e inizio del Regno di Dio. E’ dunque una visione per sua natura universale, “ecumenica”, che comprende non soltanto tutta l’umanità storica, bensì anche la comunità dei santi; non solo la terra ma anche, almeno in anticipo e promessa, il cielo.

Si evidenzia dunque, alla coscienza collettiva, uno spazio intermedio, o di mediazione, tra cielo e terra.

E’ in questo contesto generale e fondamentale che va collocata l’affermazione continuamente ripetuta che dopo il concilio di Efeso – peraltro dedicato alle complesse questioni cristologiche e non esplicitamente alla teologia mariana, nonché svoltosi e conclusosi in maniera tumultuosa e fortemente contestata da più parti – inizia un’inedita fase di devozione mariana, addirittura una  «esplosione della pietà e del culto mariano soprattutto in Oriente»[5].

La data (431) del concilio – prima ancora, il fatto che sia iniziata, appunto, un’epoca di grandi concilii, pubblici e universali – rinvia precisamente al quadro sopra abbozzato.

Su questo sfondo, la Vergine – a un tempo creatura umana ma ricolmata dei più grandi favori divini, associata anzi nel modo più profondo possibile, alla stessa divinità – si staglia come la figura che identifica perfettamente quel nuovo spazio di connessione tra cielo e terra venutosi a delineare. Inoltre, unica e tuttavia molteplice per i molti luoghi e le diverse forme in cui inizia ad essere venerata, si pone come immagine ideale dell’oikoumene cristiana. Immagine non più soltanto della Chiesa, ma della cristianità, ossia di una Chiesa che si è legata strettamente all’Impero, e tale a lungo resterà.

La diffusione del culto mariano é costituita, innanzitutto, dal moltiplicarsi delle feste in suo onore. Oltre a quelle “bibliche” (rimarcate soprattutto come feste mariane) dell’Annunciazione e della Presentazione al Tempio, si diffondono quelle della Natività della Vergine (VI sec.), della Presentazione di Maria al Tempio (VI sec.), dell’Assunzione o Dormizione (VI sec.)[6]. E’ a seguito di una vittoria sui Persiani che fu composto il grande inno Akathistos)[7].

La stessa tardività e il contesto storico-ecclesiale del sorgere di queste feste fa propendere a superare quel diffuso pregiudizio per cui le forme di culto mariano sarebbero trasformazioni di culti pagani a divinità femminili[8].   

Tra le prime chiese che iniziano a sorgere – altra espressione di un cristianesimo ormai assunto come religione pubblica e universale – molte vengono dedicate a Maria.

Spesso, come é noto, si tratta di basiliche, ossia di luoghi pagani (di incontro, di scambio, di tribunale) trasformati in edifici cristiani: é una evidente espressione del sostituirsi e del sovrapporsi dell’elemento religioso cristiano a quello pagano nella funzione di religione pubblica e imperiale. Ciò non avverrà, ovviamente, senza rischi per l’originalità cristiana (il “vangelo dei poveri” e dell’universale Regno di Dio).

Per quanto riguarda l’Oriente (unificato nell’oikoumene dell’Impero cristiano) il principale santuario era, naturalmente, a Costantinopoli, nella chiesa di Blancherne, dove si conservava l’unica grande reliquia mariana, quella del maphorion o mantello della Vergine: «segno visibile della invisibile protezione della Madre di Dio sulla città imperiale a lei dedicata e su tutto l’Impero»[9].

Se Costantinopoli – che Costantino aveva voluto, nel 325, come nuova Roma “cristiana” al posto della antica capitale pagana – i santuari mariani raggiunsero ben presto il numero di 124 - anche nella vecchia Roma, ancora sede, quantomeno, del patriarcato di Occidente, sorgono le prime basiliche dedicate alla Vergine: la prima e più famosa é quella voluta da Sisto III (V sec.) sull’Esquilino, Santa Maria Maggiore (da maius, mese insolito per una nevicata ritenuta, dunque, prodigiosa e ricollegata all’immagine della Vergine[10]).

Nel VII secolo, le chiese mariane di Roma sono già quattro: oltre a Santa Maria Maggiore, Santa Maria Antiqua, nel Foro romano, Santa Maria Rotonda, sul sito del Pantheon, Santa. Maria in Trastevere[11].

 

II – La svolta in Occidente attorno al cambio di millennio

 L’ipotesi sopra esposta trova in qualche modo conferma nell’assenza di un significativo culto mariano in Occidente, dove tarda a realizzarsi una cristianità analoga (e, a un certo punto, alternativa, dunque destinata a contrapporsi prima, quindi a separarsi) a quella orientale[12].

Unico momento segnalato di un particolare incremento di devozione mariana é quello dell’esperimento carolingio, prima grande prova – durata di fatto solo il tempo del regno personale di Carlo Magno – di una cristianità (o di un Sacro Impero) d’Occidente.

Dobbiamo dunque giungere alla svolta del millennio – una svolta di profondissimo significato e di conseguenze assai durature – per assistere all’inizio di quella straordinaria fioritura di culto mariano che in Occidente, pur assumendo significati e contenuti assai diversi, non avrà più grosse soste, fino ai nostri tempi.

 

La prima grande riforma della storia della Chiesa

 Il senso essenziale di quel vastissimo (cronologicamente, geograficamente e socialmente) movimento di riforma che talora é stato ridotto entro gli angusti ambiti della riforma “gregoriana” (da Gregorio VII, dunque solo o prevalentemente papale, romana, e ristretta alla seconda metà del secolo XI), é quello di una Chiesa che, dopo aver assunto le più varie e vaste responsabilità terrene nell’Occidente - rimasto senza guida unitaria, dopo la caduta dell’Impero di Roma e divenuto desolata periferia dell’Impero bizantino -, ha finito con l’essere invischiata a tal punto nella gestione delle realtà temporali, sempre più frammentate e confuse, soprattutto dopo il crollo del tentativo di unificazione compiuto dai Carolingi.

Di qui l’urgenza di ricuperare la libertas Ecclesiae, non solo o innanzitutto dalle investiture feudali ma, più a fondo, dal condizionamento fortissimo delle responsabilità temporali. La direzione della riforma é quella, a un tempo, della conquista di un potere ecclesiastico che fosse autonomo, appunto in quanto spirituale e, perché ciò fosse possibile, centralizzato, ossia non più condizionato dai poteri locali, variamente condizionati dai signori laici.

Il movimento di riforma partì, fin dall’inizio del secolo X, in ambito monastico, precisamente con la fondazione di Cluny, avvenuta nel 910 in Borgogna. L’abbazia cluniacense, edificata su un terreno svincolato da ogni ingerenza feudale, soggetta soltanto al papa, e posta a capo di una vastissima rete di monasteri successivamente aggregatisi, inaugurò questa stagione di riforme - diffuse poi all’ambito clericale, ai vescovi, assunte dall’Impero (gli Ottoni), infine (a partire dalla metà del scolo XI) dallo stesso papato -, delineandone anche il modello: autonomia, appunto, e centralizzazione.

Ora, non può essere un caso, né può essere ragionevolmente collocato fuori da questo sfondo, il contemporaneo insorgere e diffondersi di una fiorentissima devozione mariana[13]. L’immagine di Maria appare dunque legata allo spirito di reformatio (da intendere non in senso astrattamente spiritualistico, ma precisamente come una “purezza” anche istituzionale, da parte della Chiesa)[14].

 

Le nuove fondazioni monastiche

 Gli stessi nuovi Ordini (nuovi anche in quanto “Ordini”, ossia organizzazioni di religiosi organizzate sotto un’unica guida centrale, il che non avveniva nella antica tradizione benedettina, fondata sull’autonomia di ogni monastero) che sorgono tra X e XII secolo sono fortemente legati alla devozione mariana.

Il riferimento mariano - come già per il monachesimo antico, e anzi più chiaramente - torna ad essere ispiratore di riforma ecclesiale.

A Cluny si istituiscono alcune devozioni e pratiche  che poi si diffonderanno ovunque, insieme ad altre pratiche di culto che avranno lunga fortuna, come la Commemorazione di tutti i defunti il 2 novembre. Ad esempio: la tradizione del canto serale della Salve Regina[15], così come della devozione alla Mater misericordiae; Ufficio della Vergine, la messa in suo onore in giorno di sabato[16].

 Ancor più viva la devozione mariana a Citeaux, e ancor più chiaramente connessa con lo spirito di riforma, dal momento che il “nuovo monastero” come veniva chiamato, era sorto e si porrà continuamente in polemica con il monachesimo cluniacense, accusandolo di avere deviato dalla tradizione benedettina (a causa della perdita dell’autonomia dei singoli monasteri, tra l’altro, oltre che per la scarsa povertà) e proponendosi come modello e iniziatore di una nuova, più autentica riforma. Il riferimento mariano, in particolare il richiamo ad apparizioni della Vergine, diventa in questa prospettiva un sigillo di “autenticità” da esibire il più possibile. Infatti, le chiese abbaziali dei cistercensi sono in genere dedicate a Maria (per il nostro territorio, il monastero di Dona, a Prata di Chiavenna, da ritenere cistercense[17], é in effetti dedicato alla Vergine: Santa Maria di Dona).

Tra i cistercensi poi, sorgerà la stella di san Bernardo il quale, con la sua intensa predicazione mariana e grazie al suo personale rilievo ecclesiastico, sarà uno dei principali promotori della devozione a Maria.

Non insistiamo ad esaminare le numerose riforme monastiche che si succedono alle prime due, e più famose, di Cluny e Citeaux (la Certosa, Vallombrosa, Camaldoli, ecc.). Importa, piuttosto, evidenziare come tale insorgere della devozione mariana e delle connesse nuove pratiche di pietà fosse sentita come una novità all’interno stesso degli ambienti monastici. Ce lo testimonia, dal vivo, un testo di uno tra i maggiori riformatori, di monaci e clero, del secolo XI: san Pier Damiani. In una lettera, egli riferisce di una vivace discussione insorta all’interno di un monastero nel quale era stato introdotto la recita dell’Ufficio mariano. Uno dei monaci, appellandosi alla tradizione benedettina (satis semperque sufficere quod sanctus praecipit Benedictus), riuscì a convincere la maggior parte dei fratelli circa il carattere superfluo delle nuove pratiche; esse vennero pertanto sospese, salvo poi – come racconta Pier Damiani che, evidentemente era di parere diverso – essere reintrodotte a seguito della serie di sciagure che si abbatterono su quel monastero reo di scarsa devozione mariana[18].

 

Dai monasteri a tutta la Chiesa

 E’ attraverso il canale monastico che – insieme alla riforma – si diffonde in tutta l’Occidente la devozione mariana.

Le prime cattedrali gotiche, edificate in Francia verso la metà del XII secolo, sono tutte dedicate a “Nôtre Dame” (Chartres, Parigi, Reims, Laon, Amiens)[19]. Anche nella nostra realtà locale, non é senza significato che la nuova cattedrale del capoluogo vescovile, Como, edificata sul terreno tra la città romana e il porto lacuale nella seconda metà del secolo XI sia stata dedicata a santa Maria. E che a dedicarla, verso la fine del suo episcopato sia stato proprio Rainaldo, il più importante dei nostri vescovi riformatori, stretto collaboratore di papa Gregorio VII, amico di Pier Damiani e in contatto con l’ambiente monastico di Montecassino[20].

E’ presso queste cattedrali che iniziano a prodursi ancora apparizioni mariane[21], in genere destinate ai vescovi, e ad organizzarsi pellegrinaggi[22].

Attorno a queste chiese si forma e si accresce una nuova mentalità e una diffusa devozione in tutto il popolo cristiano; di conseguenza, anche le apparizioni mariane si moltiplicano e raggiungono tutti i ceti sociali: «Nel momento in cui il culto mariano si radica nell’Occidente latino, i veggenti si contano a centinaia»[23].

Come ben appare soprattutto dall’impianto architettonico delle cattedrali, si può dire, con Leclerq, che la devozione mariana si colloca ancora saldamente all’interno di una corretta prospettiva teologica e liturgica.

Intanto, la dedicazione mariana della chiesa-madre (nel senso di edificio) sottolinea e rafforza il già richiamato e tradizionale legame tra Maria e la Chiesa: la comunità ecclesiale si fa Corpo di Cristo in quel luogo dove si raccoglie e attinge alla vita di Cristo, offerto al mondo da Maria.

Inoltre, la struttura stessa delle antiche cattedrali mariane, svolge un programma catechetico e pedagogico ben chiaro: attraverso i portali, con le loro raffigurazioni significative, i fedeli vengono invitati a passare dal mondo esterno all’intimità della Chiesa, dove, ripercorrendo le vicende della storia della salvezza raffigurate sulle navate o nelle vetrate, sono condotti all’altare, dove, nell’Eucaristia, si compie la manifestazione di Cristo nella donazione di sé al Padre e all’umanità[24].

 

III – Da una riforma all’altra (secc. XIV-XVI)

 Entriamo qui nella fase più complessa e travagliata di tutta la storia della Chiesa. Si va, non per nulla, da una riforma all’altra. Da quella del secolo XI che aveva ristrutturato l’intera Chiesa in modo autonomo rispetto all’Impero e, in generale, al potere laico e l’aveva centralizzata attorno alla sede romana, a quella che proprio di tale strutturazione, ritenuta eccessivamente “esteriore” e giuridica, denuncerà e tenterà di correggere le conseguenze negative, soprattutto la perdita del carattere religioso e relativo della Chiesa rispetto al rapporto di fede tra il singolo e Cristo.

La devozione mariana, nello sviluppo di questi secoli, accompagna e riflette, da un lato, l’esasperarsi dell’esteriorità della Chiesa, nella gestione del potere come nelle manifestazioni della religiosità, dall’altro il diffuso e crescente anelito riformatore.

Diciamo subito che é impossibile e sarebbe comunque artificioso voler distinguere tra i due lati di tale sviluppo devozionale, e pertanto procederemo semplicemente distinguendo tra l’ambito dei religiosi e quello, a sua volta direttamente influenzato, delle devozioni popolari.

La mancata sintesi tra la realtà istituzionale della Chiesa e la sua anima religiosa, anzi precisamente il divaricarsi delle due dimensioni, provocheranno quel collasso chiamato Riforma o Riforme protestanti, dove l’accostamento stesso delle parole dice appunto una mancata composizione e indica nel rifiuto della esteriorità della Chiesa – e dunque delle sue forme devozionali – il punto cruciale di svolta.

 

Nuovi Ordini, crescente devozione mariana

 Il continuo, affannoso rincorrersi di riforme nell’ambito benedettino, tra X e XII secolo, non condusse ad una soluzione soddisfacente soprattutto per quella che, anche sotto la pressione dei movimenti ereticali, appariva l’esigenza spirituale prima della vita religiosa, ossia la povertà. Si dovette quindi mutare radicalmente l’impostazione stessa della vita religiosa, applicando il principio della povertà non più solo al singolo, ma alla comunità stessa: nacquero così gli Ordini mendicanti, primi tra i quali Domenicani, Francescani, Agostiniani, Servi di Maria, Carmelitani. Ora, se almeno in un caso – quello dei serviti, nati appunto da una confraternita mariana di laici -  il richiamo alla Madonna é esplicito, tutti i Mendicanti si caratterizzeranno per una spiccata devozione mariana.

Devozione che si tradurrà anche in grande lavoro di ricerca teologica e di letteratura spirituale (a Bernardo e alla scuola cistercense, seguiranno san Domenico e san Francesco, Bonaventura, Tommaso d’Aquino, ecc.)

 La conquista di nuovi spazi, all’interno della Chiesa, per questi Ordini nuovi, passerà di nuovo, come già era avvenuto per le riforme benedettine, attraverso il richiamo a Maria. Essi, infatti, vanteranno tutti qualche prodigio o apparizione o ispirazione mariana. Tipico il caso dei domenicani i quali – fondati da san Domenico precisamente in alternativa al modo con cui i ricchi inquisitori cistercensi trattavano gli eretici – legheranno strettamente, soprattutto mediante il rosario, il proprio fondatore alla Vergine e riprenderanno dai cistercensi il tema della lattazione al seno di Maria[25], che così passerà più facilmente a livello popolare.

Famosissima questione motivo di contrasti – e pure vivacissimi – tra i nuovi paladini della Vergine, la disputa sull’Immacolata concezione di Maria.

I domenicani, seguendo il sommo teologo, gloria dell’Ordine, Tommaso d’Aquino [+1274], respingevano duramente tale dottrina come negatrice dell’universalità della redenzione di Cristo: se Maria non avesse avuto colpa originale, Cristo non avrebbe potuto redimerla. dunque egli non sarebbe stato il Redentore di tutti, quel Redemptor omnium che tutta la tradizione cristiana attestava come centro della fede.

I francescani, al contrario, seguendo le tesi del proprio confratello scozzese Duns Scoto (1265-1308), consideravano la concezione senza macchia originale della Vergine come effetto preventivo della Redenzione di Cristo.

Inutile dire che la devozione popolare si schierava a favore del privilegio mariano, creando dunque qualche ulteriore difficoltà, nella divisione delle zone di influenza, ai domenicani rispetto ai francescani.

I contrasti, si diceva, furono violentissimi. Per fare un solo esempio, a un tempo clamoroso e grottesco, gli atti del processo che si concluse con la condanna al rogo dei colpevoli, ci descrivono accuratamente gli incredibili stratagemmi messi in atto dal priore del convento domenicano di Berna, nel 1509, insieme a tre frati complici, per far credere ad un ingenuo novizio che la Madonna gli apparisse per negare la dottrina dell’Immacolata concezione, dandogli prove sensibili della sua reale apparizione attraverso prodigi truccati ma anche – ahimè – stimmati inferte nelle membra del poveretto[26].

Se tali erano le degenerazioni che, tra le altre, si verificavano tra Quattro e Cinquecento, in realtà, la devozione mariana, presso i Mendicanti, almeno all’origine, aveva motivi ben più profondi e fondamento ben più nobile: «la loro spiritualità si orienta verso il Cristo-uomo in maniera assai più marcata che nel passato. Questa tendenza cristocentrica porta a contemplare l’infanzia del Signore, il Salvatore in croce e, conseguentemente, la Vergine al Presepio, negli altri misteri dell’infanzia, della vita pubblica e della Passione»[27].

 

La grande devozione popolare

 Come già avvenuto durante i secoli a cavallo del millennio, dalle case di vita religiosa la devozione mariana trapassa e si sviluppa tra le popolazioni; anzi, il diretto contatto con la gente, esplicitamente ricercato dai Mendicanti, e attuato mediante la stessa questua ma soprattutto con la predicazione, il ministero del confessionale, l’apertura di chiese frequentatissime in ogni città, l’istituzione di confraternite, moltiplica in proporzione geometrica tale influsso sulla religiosità popolare.

In questo modo – come più in generale con la loro stessa spiritualità e la loro predicazione -  i Mendicanti vengono incontro all’esigenza diffusissima di una religiosità più personale, maggiormente modellata sul singolo il quale, attraverso la contemporanea rinascita dell’economia e il risveglio della partecipazione politica – da un lato – e l’esperienza tragica dell’incombenza della morte nelle frequenti guerre e pestilenze – dall’altro – ha acquisito una decisiva coscienza della propria individualità.

Di conseguenza, viene a moltiplicarsi a dismisura il fattore devozionale, certo a scapito delle forme liturgiche tradizionali e canonizzate. D’altro canto, la stessa sottolineatura dell’individualità segnala ed esprime il disagio nei confronti di una Chiesa istituzionale che, involuta nelle proprie crescenti pratiche di potere, sembra non soddisfare più all’accresciuta esigenza spirituale del singolo. Talune forme devozionali, pertanto, oltre ad essere estranee o aggiuntive rispetto alla liturgia ecclesiastica, assumeranno anche i toni di una polemica anti-ecclesiastica. Si delinea qui, appunto, chiaramente e drammaticamente, quella frattura, sopra accennata, tra la crescente esigenza idi un rapporto diretto tra il singolo e Dio e la sfiducia nella validità della mediazione ecclesiastica.

In prima posizione, su questo allargato fronte devozionale, non può che porsi la Madonna, figura privilegiata di rapporto diretto, addirittura intimo, tra Dio e la persona umana. La distanza sentita tra l’istituzione ecclesiastica e le nuove esigenze religiose porta anch’essa verso la Vergine, vista e sentita come una figura, a un tempo più umana, cioè vicina e misericordiosa[28], e più sovrumana, cioè pura dalle corruzioni e dalle meschinità di molti  uomini di Chiesa, immagine e promessa di una Chiesa immacolata.

In effetti la presenza mariana é imponente e capillare: dall’arte alla letteratura (si pensi ai tre sommi poeti italiani, Dante, Petrarca, Boccaccio, autori di più d’una composizione mariana), dalla devozione alla teologia.

Ecco dunque apparire nuove pratiche devozionali.

Prima di esse, per la diffusione e la fortuna assai durevole di cui godrà, é certamente il rosario.

Esso nasce in ambiente monastico, comunque di vita religiosa, come denota chiaramente l’intento sostitutivo dei 150 salmi mediante la recita delle 150 Ave Maria; d’altra parte il nome stesso con cui tale pratica fu inizialmente propagandata era quello di Psalterium Beatae Mariae Virginis[29]. Con ciò si conferma, nuovamente, l’influsso determinante, dei monaci prima, dei frati dopo, sulla religiosità popolare. A diffondere il rosario, anche con l’istituzione di confraternite, nel secolo XV, fu un domenicano, Alain de la Roche (1428-1474), anche se la sua prima origine viene attribuita, rispettosamente, al fondatore stesso dell’Ordine, san Domenico, ispirato dalla Vergine stessa.

Un significativo documento, in sede locale, dell’antica diffusione di tale devozione è quello ritrovato qualche anno fa presso il santuario dell’Assunta di Morbegno, e tuttora visibile sul pavimento dell’”ossario”: si tratta di una lapide tombale raffigurante un confratello con il tipico abito dei battuti e, in mano, una corona del rosario.

La stessa preghiera-base del rosario, l’Ave Maria, rappresenta un caso interessante di integrazione e arricchimento devozionale della tradizione canonica: se la prima parte della preghiera, infatti, altro non é che un insieme di versetti evangelici, dunque un saluto (quello dell’angelo) e una lodo (quella di Elisabetta) alla Vergine, una seconda parte viene progressivamente aggiunta, fra Tre e Quattrocento[30], e sono parole, soprattutto le ultime, che vanno nella direzione di un più diretto, personalizzato, rapporto con Maria, acuito dal senso onnipresente, all’epoca, della colpa e della morte («Prega per noi, peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte».

Da una analoga integrazione devozionale si originano i cosiddetti “misteri”, ossia le rappresentazioni di episodi della vita della Vergine (come pure di Cristo o dei santi) che si mettono, per così dire, in scena in occasione di talune principali ricorrenze festive e a contorno delle celebrazioni liturgiche.

 E’ poi un’epoca, quella tra Tre e Cinquecento, ricchissima di raffigurazioni mariane, da quelle di sommo livello artistico – dove più forte sarà la tendenza ad esaltare nella bellezza la figura femminile di Maria – a quelle più modeste, significativamente presenti in ogni angolo di vita quotidiana, dalla casa alla campagna, dai palazzi pubblici alle strade. Si pensi, localmente, alle numerosissime raffigurazioni di Maria nelle chiese, ma anche sulle case o in cappelle rurali. Tra le più frequenti, le raffigurazioni legate appunto all’umanità di Gesù: dunque la Madre con il bambino sulle braccia, o al seno; l’Addolorata con in grembo il Cristo morto. E’ intuitivo come in queste raffigurazioni potesse al meglio esprimersi ed accrescersi la devozione popolare, unendo la venerazione alla Vergine, la contemplazione di suoi misteri, ma anche il consolante rispecchiarsi della propria stentata vita, dalla culla alla tomba, nella sua e in quella di suo Figlio.

Quanto alla popolarissima immagine della Madonna del latte, vorrei soltanto richiamarne l’origine ben più che popolare: di nuovo, monastica. Così scriveva l’abate cistercense Adamo, verso la fine del secolo XII:

«Uniamoci a Gesù mentre succhia alla mammella, per vedere se, per caso, non possiamo approfittare di qualche goccia di quel latte tanto dolce. Credetemi, egli non è geloso e non vieta ai propri fratelli di latte il petto materno, ma fa loro spazio perché anch’essi possano restare fra queste mammelle piene di cielo che nutrono con un’indicibile soavità. Il gran numero di poppanti non le esaurisce»[31].

Dopo che grandi monaci, come il cistercense Bernardo, furono presentati come lattanti della Vergine, dal cui seno purissimo attinsero eloquenza e virtù, l’immagine passò ai domenicani, che la assunsero appunto in concorrenza con gli antichi monaci e da loro, probabilmente, arrivò alle nostre popolazioni.

Allargandosi a tutti gli strati sociali, soprattutto ai più popolari, la devozione popolare, si amplia anche il gruppo dei veggenti delle apparizioni[32]. Non più solo vescovi o santi monaci, ma anche laici e addirittura donne[33]. Anzi, tendenzialmente – ed evangelicamente – le apparizioni risultano privilegiare i piccoli: poveri fanciulli o pastorelle, mentre il costante tema di fondo é quello della penitenza ossia, di nuovo, in altri termini – più personali, ma non soltanto individuali – quello della riforma [34].

Ed é proprio in quest’epoca, ossia sul finire del Quattrocento, fin verso i primi anni del Cinquecento, che anche nel nostro territorio si parla di apparizioni mariane: per due contadinelle a Gallivaggio, nel 1492; al popolano Mario, nel 1504, presso il ponte della Folla alle porte di Tirano. Che la successiva propaganda antiprotestante, dalla quale non si può pretendere il necessario distacco per l’obiettività storica, abbia potuto collegare tali apparizioni con il (successivo) avvento della Riforma protestante, é più che comprensibile e ampiamente scusabile. Non é in nessun modo giustificato continuare a ripetere tali considerazioni: basta soltanto tener d’occhio le date, per capire che la Madonna non poteva  far da baluardo ad un “nemico” ancora di là da venire. Ciò vale, naturalmente, anche per il prodigio che ha dato origine, nel 1487, al primo santuario mariano, in ordine di tempo, della valle. L’intervento attribuito a Maria fu infatti a difesa dagli Svizzeri, non dai Protestanti, e comunque quasi mezzo secolo prima della parziale adesione di quelli alla Riforma[35].

Tali apparizioni, come già accennato, sia per la prevalente qualità dei destinatari, poveri e marginali, sia per l’assenza - ma anche per la diffidenza o addirittura per il contrasto -  da  parte delle autorità ecclesiastiche, fanno di per sé trapelare un senso di distacco dall’istituzione ecclesiastica[36].

Sulla stessa linea si pongono anche le numerose leggende – tra cui quella che darà origine al santuario di Loreto – relative a trasporto, per mezzo di angeli (dunque non per mano umana) della casa di Nazaret, ossia della prima, umile chiesa delle origini.

Altre volte, esse si trasformano in aperta polemica e contestazione contro le gerarchie della Chiesa, come quando vengono ricevute, insieme a profezie e messaggi particolari, da donne che poi, con l’autorità di veggenti, “osano” rivolgere rimproveri allo stesso papa, come nel caso di santa Brigida di Svezia[37], oppure quando si associano a presunti fenomeni straordinari, quali il restare incinte di Cristo insieme a Maria, con tanto di annessi fisiologici, quali l’ingrossamento del ventre o delle mammelle.

Un caso meno clamoroso, e tuttavia tale da impressionare vivamente i contemporanei, fu lo spontaneo insorgere del movimento dei Bianchi. Rivestiti, appunto, di un saio bianco, schiere di penitenti percorsero l’Europa, alla vigilia dell’inizio del XV secolo, mentre imperversava la peste, raggiungendo Roma, dove ottennero di celebrare un giubileo mai indetto dal papa. Si tratta di una tipica espressione penitenziale ed escatologica, dunque tesa a risvegliare la Chiesa dal suo torpore morale e a promuoverne la tanto invocata riforma. Ebbene: l’origine del movimento veniva ricollegata, dagli stessi protagonisti, con l’apparizione della Madonna ad un contadino, E, comunque, mentre passavano da una città all’altra invitando a penitenza, i Bianchi cantavano laude di tono popolare, dense di spirito religioso, nella rozzezza della lingua e del metro. Riascoltiamone alcune strofe, senza dimenticare che qualche eco di esse può ancora risuonare in qualcuno dei nostri paesi:

 «O madre, che llui portasti

nove mesi, e poi il lattasti,

dall’Inferno ci cavasti,

per Dio, non ci abandonare»[38].

 

«O dolce Vergin Maria,

di noi guardia e compagnia,

preghianti che ‘n piacer ti sia

che preghi il nostro Salvatore

[...]

Tu se’, madre, sempre stata

di noi miseri avocata;

madre nostra angelicata

fa levare questo furore»[39].

 

«Peccator, tutti piangete

con Maria, la qual vedete

tant’afflitta e dolorosa»[40].

 

Di conseguenza alle reali o possibili deviazioni di carattere ereticale e/o anticlericale, la gerarchia ecclesiastica intervenne per sottoporre a controllo sia le apparizioni, sia le profezie, già con il concilio Lateranense V (1512-1517), nel quale si prescrive che le «asserite ispirazioni, prima di essere pubbliche o predicate al popolo [...] siano riservate all’esame della sede apostolica»[41].

Oltre all’intervento autoritario della Chiesa, c’è da ricordare l’insorgere di una critica internamente agli stessi movimenti riformatori, in particolare negli ambienti più colti, come quelli umanistici, appunto perché favorevoli ad una religiosità più personale ed interiorizzata.

Su questa stessa linea, senza dubbio, va collocato anche Lutero. Certo, egli, ad un certo punto – precisamente dopo il suo attacco polemico al papato, con i tre scritti del 1520 -, rifiuta apertamente e violentemente le esagerazioni della devozione mariana, soprattutto in quanto la considera legata a meriti, indulgenze, pellegrinaggi – tutti elementi che vengono ad oscurare proprio quella interiorità del rapporto personale con Dio che era l’aspirazione di tutta un’epoca, oltre che un elemento caratteristico della fede cristiana[42]. Ciò non gli impedisce, tuttavia, anche dopo la sua rottura con Roma, di onorare Maria con una devozione sincera e anche con uno scritto mirabile, quale il Commento al Magnificat (1518). Ovviamente ciò neppure esclude che i suoi seguaci, e quelli delle diverse – spesso ben più radicali – Riforme protestanti dell’epoca, abbiano teorizzato e compiuto atti di iconoclastia, anche e soprattutto nei confronti della Madonna e delle chiese a lei dedicate[43]. Del che la nostra storia locale può ben dare più di una testimonianza.

 

IV - L’età tridentina (secc. XVII-XVIII)

 Vorrei leggere quest’epoca – certo ricchissima di espressioni devozionali di ogni genere, anche dalle nostre parti – sotto una prospettiva sintetica e, credo, significativa.

Il concilio di Trento, facendo proprie e qualificando autorevolmente molte delle proposte di riforma emerse dalla lunga stagione tardomedioevale, porta ordine e disciplina in tutti i settori della Chiesa. E questo é abbastanza noto. Spesso non si considera come l’assise tridentina si sia caratterizzata per un forte taglio pastorale, anzi assumendo precisamente la pastorale (o “cura d’anime”, nel linguaggio del tempo) come prospettiva fondamentale.

Le sue direttive non intervengono su una sorta di tabula rasa, ma si innestano e si intrecciano su un tessuto religioso piuttosto vivace, quello appunto delle devozioni tardomedioevali, cercando di fare sintesi tra le esigenze di ortodossia e di disciplina richieste dalla degenerazione diffusa in tutto il corpo ecclesiale e la sensibilità popolare, legata ad espressioni particolari, spesso caratterizzate da visibilità, concretezza e da forte componente affettiva.

Ciò avviene - spesso con buoni risultati –incanalando le manifestazioni popolari verso alcuni elementi centrali della fede cristiana. In particolare tre: la croce, l’Eucarista, e – appunto – la Madonna.

Si sono così originate molte di quelle manifestazioni di culto mariano – canti, processioni, santuari – che tuttora sussistono e ancora sono sentite come attraenti e coinvolgenti, anche per il credente di oggi; appunto perché riescono a coniugare – il che non sempre avviene per forme più recenti – l’insopprimibile elemento sentimentale della religiosità con la correttezza teologica dei suoi contenuti e la disciplina ecclesiastica dei comportamenti.

Il collocarsi della devozione mariana subito a fianco di quelle direttamente cristologiche (croce ed eucaristia), in epoca tridentina, non dipende soltanto dal ruolo centrale di Maria nella Redenzione e dalla sua vicinanza a Gesù, ma anche dalla opportunità di collocare a fianco e quasi a custodia della Verità incarnata quella che è da sempre l’immagine della Chiesa-madre. La devozione mariana costituiva in tal modo un opportuno completamento e un’evidente, anche se discreta, correzione alle possibili tendenze privatistiche o spiritualiste che potevano verificarsi nella ricerca di una fede come rapporto personale tra l’individuo e Cristo. La mediazione materna di Maria si poneva come efficace e persuasivo richiamo della insuperabile mediazione ecclesiastica[44]: si rovesciavano, in tal modo, quasi insensibilmente, taluni aspetti di polemica antiecclesiastica che la diffusa devozione mariana del tardo Medioevo aveva potuto assumere.

Per svolgere tale funzione di richiamo disciplinare e dottrinale, ovviamente, la stessa devozione mariana aveva bisogno di evitare abusi ed inopportuni spontaneismi. Forse non è casuale il fatto che proprio all’inizio della riforma tridentina scompaiano le apparizioni mariane, prima tanto frequenti, e che esse restino assenti per tutta l’epoca dell’attuazione di quel concilio, per poi riapparire – ma in tutt’altro contesto – solo ad Ottocento avanzato[45].

Sono diversi gli esempi che possiamo portare per questa avvenuta sintesi.

Le specifiche confraternite mariane (del Rosario, del Carmine, ecc.,), sorte spontaneamente, tra il popolo o sotto la guida degli Ordini mendicanti, vengono sottoposte alle autorizzazioni e ai controlli vescovili, così da verificarne la correttezza nella fede e nei comportamenti, similmente a quanto avviene perle confraternite eucaristiche.

Quella che abbiamo visto come la più popolare devozione mariana – il rosario – viene esplicitamente assunta e fatta propria dallo stesso vertice papale: é alla Vergine del Rosario, come é noto, che il domenicano (si noti) Pio V attribuirà la vittoria di Lepanto contro i Musulmani, nel 1671. In questo modo il rosario non é più una devozione soltanto personale o a rischio di essere considerata come un po’ magica (l’oggetto “rosario” come una sorta di amuleto), ma viene ufficialmente collocata (e, dunque, anche controllata) tra le devozioni della Chiesa: così «il rosario medievale fa da ponte tra la vecchia e la nuova pratica della preghiera»[46].

Qualcosa di analogo avviene attorno a quello che diventerà il più importante santuario d’Italia: Loreto.

La santa casa di Loreto, che qui sarebbe pervenuta da Nazareth, su ali d’angelo, si richiamava ad una delle tante leggende medioevali (della fine del sex. XIII) di sapore polemico verso la Chiesa terrena e corrotta, in favore di una Chiesa pura e spirituale. Nel Quattrocento, nel clima umanistico e riformatore, se ne era fatto oggetto di dibattito, quanto alla sua attendibilità storica (tra i contestatori é opportuno ricordare un personaggio che avrà assai a che fare con le nostre valli, Pier Paolo Vergerio. arcivescovo di Capo d’Istria, nunzio papale, passato in seguito alla Riforma e attivo nei Grigioni).

In età tridentina, il santuario lauretano – probabilmente a motivo della sua centralità geografico-ecclesiale, in quanto collocato nello Stato della Chiesa, e sulla via dei pellegrinaggi verso Roma – viene ampiamente valorizzato, sia con indulgenze e privilegi, sia con la diffusione di tale culto in mezza Europa, grazie soprattutto ai gesuiti[47], mentre nel Nord Italia ebbe una parte significativa nella fortuna di questa devozione l’interesse che ne ebbe san Carlo Borromeo, egli stesso pellegrino a Loreto. Si può dire che, in effetti, il santuario laureatano esprime anche plasticamente tale assunzione di una spiritualità popolare da parte dell’apparato ecclesiastico: la piccola, umile casa di Nazaret, luogo ispiratore di una intimità di unione tra il singolo fedele e la vita nascosta di Cristo e di sua Madre viene inglobata in un edificio ecclesiastico grandioso che ne corregge la possibile tendenza soggettiva.

Anche in Valtellina – a Tresivio, nei pressi dell’istituzione gesuitica di Ponte, ma anche a Chiavenna, a Cosio, a Regolido di Dazio – si sono volute realizzare alcune “copie” della santa casa. Nel caso di Tresivio, senza dubbio il più noto e importante, si è avuto modo di dare espressione anche ad un altro aspetto tipico della religiosità dell’epoca, ovvero la grandiosità e magnificenza, sia nel mastodontico edificio che ospita la santa casa, sia in un vero e proprio “sistema” devozionale che doveva costituire una sorta di grandioso Rosario sul territorio: ai misteri gaudiosi, rappresentati appunto nella santa casa, si sarebbero dovuti unire quelli dolorosi (il Calvario, in effetti realizzato sul colle di fronte) e, probabilmente, anche gloriosi, Il tutto collegato mediante un percorso devozionale che sarebbe stato attraversato, nelle opportune ricorrenze da solenni processioni[48].

Non c’è chiesa, comunque, da noi come un po’ ovunque, dove non si cantino le litanie dette appunto “lauretane”. Altro esempio tipico di sintesi riuscita tra l’espressione affettiva della religiosità popolari (si pensi alle tante, godibilissime melodie con le quali venivano cantate a gran voce), la correttezza teologica (i titoli mariani sono tutti approvati e, man mano, si compiono aggiunte autorizzate), e l’universalità e uniformità del testo: sono uguali in tutta la cristianità.

Credo di poter affermare che tali sintesi riuscite (di cui abbiamo dato qualche esempio) non furono frutto di esplicita pianificazione, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, ma semplicemente del ritrovato contatto fra pastori nuovamente e concretamente residenti nei luoghi affidati al loro ministero, secondo le prescrizioni tridentine, e le popolazioni locali.

 

V – Crisi dello schema tridentino (secc. XVIII-XIX)

 

Fine dell’identità tra società e Chiesa

 Questa sintesi attuata a seguito del concilio di Trento subisce una crisi profonda nel momento in cui – sia per l’evolversi della coscienza occidentale verso nuove concezioni dell’uomo, più attente all’elemento razionale, sia per la constatata impossibilità di continuare a fondare la convivenza sociale sul comune e, fino ad una certa epoca, indiscusso elemento cristiano, a seguito delle violente divisioni confessionali – inizia il tramonto dell’identificazione tra Chiesa e società. Di conseguenza, tutto ciò che costituiva un punto di forza nell’identità delle comunità locali – le chiese, le tradizioni religiose, le devozioni tipiche del luogo e tra queste, in primo luogo, quelle legate a Maria («la nosa», come si dice ancor oggi in alcuni paesi, a indicare la Madonna in quanto oggetto di una particolare devozione locale) – subisce una crisi profonda e di lunghissima durata.

I primi segni sono dati precisamente dalla contestazione - da parte di una componente ancora minoritaria, benché importante, della società e della Chiesa – delle forme devozionali popolari, in favore di una religiosità più razionale, appunto, più sobria e socialmente costruttiva. Non che tali critiche siano pretestuose, tutt’altro; solo, chiaramente segnalano un distacco tra l’animo popolare e la religione, dunque la fine della sintesi tridentina e, più in generale, dello schema di cristianità.

Il che non significa che si tratti di critiche dettate dall’irreligiosità; piuttosto, dal desiderio di una religione più autentica, capace di promuovere una maturazione etica della persona e di mantenere una corretta  gerarchia delle verità di fede. Portiamo il solo esempio di Ludovico Antonio Muratori, prete di formidabile erudizione, non privo peraltro di acuta religiosità e attenzione pastorale.

 «Cap. XXII – Della divozione a Maria Vergine santissima.

[…] Certo è che la soda e vera divozion verso Maria più che in altro dee consistere nell’imitazione delle sue insigni virtù per quanto é permesso a noi poverelli […]

Ripeto adunque esser utile e lodevole sopra ogni altra divozione ai santi quella della Vergine santissima [...] Ma convien ricordarsi che Maria non è Dio […] Sancta Maria, ora pro nobis: questo è quello che la Chiesa c’insegna, e lei dobbiamo ascoltare, e non già le iperboli di qualche privato autore ancorché santo»[49].

In realtà, ormai il divario tra religione e società era già ampiamente scavato: la Rivoluzione francese – ossia il costituirsi d una grande nazione sulla base di valori “universali” in quanto razionali, anziché sulla comune fede cristiana; il successivo diffondersi del liberalismo, caratterizzato da netta separazione tra Chiesa e Stato, fede (privata) e società (pubblica); l’imporsi delle certezze scientifiche (o presunte tali) sulle credenze religiose; tutto ciò poneva la Chiesa di fronte ad una situazione assolutamente inedita, in quanto venutasi a creare su quello stesso terreno – il continente europeo - ampiamente e lungamente seminato, coltivato e gestito dalla istituzione ecclesiastica.

 

La tentata riconquista

 Si doveva dunque ricominciare a evangelizzare – o, se si vuole, rispettando la terminologia e la mentalità dell’epoca – a conquistare, anzi a ri-conquistare quella società già cristiana, ora distaccatasi dalla sua antica matrice e dalla sua tradizionale tutela.

Di nuovo, la devozione mariana assume caratteristiche tali che la pongono come riflesso e, potremmo dire, interpretazione della mutata mentalità ecclesiale. Maria diventa sempre più l’immagine della Chiesa che implora (le Madonne cominciano a piangere), invita e incoraggia gli uomini a ritornare alla fede abbandonata; oppure della lotta della Chiesa contro quelle forze malvagie che, subdolamente, hanno sviato dalla retta via il popolo già tutto cristiano.

In questo senso, l’immagine dell’Immacolata – la cui verità viene definita dogmaticamente nel 1854 – identifica perfettamente l’ideale di una Chiesa impegnata a schiacciare la testa al serpente, ossia al male che striscia nascostamente nel giardino creato da Dio per l’uomo[50].

 Si può notare, ancora. come molte delle numerosissime congregazioni religiose che sorgono con l’intento preciso di operare la ri-cristianizzazione della società, in particolare della gioventù, vengono intitolate a Maria.

I papi non soltanto non sono più oggetto di richiami alla conversione da parte di Maria, come nel Medioevo, neppure si limitano a verificare e ad autorizzare particolari forme devozionali, come nell’età tridentina. Si fanno essi stessi promotori, come della riconquista ecclesiastica della società, così della diffusione della devozione mariana.

Di una devozione, in particolare: il rosario. Per capire il senso di questi richiami fatti in quantità veramente impressionante (il solo Leone XIII pubblica ben 7 encicliche sul rosario, ben più di quante vengono dedicate a qualunque altro tema), occorre ricordare il significato attribuito a tale devozione, sia nella sua origine leggendaria – ossia la lotta contro le eresie, assunta da san Domenico e dal suo Ordine -, sia nella “canonizzazione” ecclesiastica, sopra menzionata, di epoca tridentina, come strumento e simbolo di vittoria contro le forze del male, opposte alla Chiesa. L’Islam, nel Cinquecento, la secolarizzazione e la miscredenza. adesso, esplicitamente dichiarate più temibili del pericolo musulmano.

Certo, nei testi papali si aggiungono poi motivazioni, anche di un certo interesse, di carattere spirituale e pedagogico, per inculcare il valore di tale forma di preghiera, e tuttavia il motivo fondamentale é la riconosciuta efficacia di tale “arma”, talora paragonata alla fionda con cui Davide sconfisse il gigante malvagio, Golia.

Un esempio, dai testi di Leone XIII

«ImbattutiCi [...] in tempi non meno infausti per la Chiesa che pieni di pericolo per la stessa civile società, abbiamo facilmente compreso quanto fosse utile il raccomandare col massimo calore quel baluardo di salvezza e di pace che Dio, nella sua grande misericordia, volle dare all’umanità, nella persona della sua augusta Madre»[51].

Tornano le apparizioni. Totalmente “sommerse”, durante l’epoca tridentina, dalla organica mediazione ecclesiastica del Trascendente, esse non sono più neppure come quelle medioevali. Se quelle, infatti, davano visibilità ed espressione ad un anelito religioso che saliva dal basso e che chiedeva il rinnovamento della Chiesa stessa, soprattutto nei suoi vertici, ora esse si caratterizzano come provocazioni dall’alto, attraverso le quali la Madonna – come la Chiesa, appunto – si rivolge al mondo, e richiama, invita, risveglia l’umanità, perché si volga nuovamente a suo Figlio. Sono chiaro sintomo e manifestazione di questa preoccupazione di reagire ad un allontanamento imprevisto e sconvolgente della società dalla Chiesa.

Non a caso le principali apparizioni avvengono in Francia, luogo simbolo e patria riconosciuta della secolarizzazione: dalla medaglia miracolosa del 1830 (apparizione a santa Caterina Labouré) a La Salette (1846), a Lourdes (1858).

Con Fatima, all’inizio del secolo successivo ci si sposta leggermente a Sud e l’accento viene a cadere piuttosto sul tema, prepotentemente d’attualità, nel 1917, della pace e della salvezza dell’umanità.

Le apparizioni si possono leggere – storicamente, indipendentemente dal loro valore religioso che esula dalle competenze dello storico – anche come risposta al predominante spirito scientista e positivista, quasi una rivendicazione della presenza e delle possibilità del Trascendente nella storia umana.

 

VI – La riscoperta della originaria missione ecclesiale (sec. XX)

 

La svolta operata dal Vaticano II (1962-1965)

 Il secolo che abbiamo appena concluso ha quasi al suo centro, ma soprattutto al suo vertice il concilio Vaticano II. Non solo in senso cronologico, o perché avvenimento di grande rilievo organizzativo o di opinione pubblica. Soprattutto e fondamentalmente perché ha segnato una svolta profonda per la coscienza stessa della Chiesa.

Il senso fondamentale del Vaticano II é costituito dalla rilettura, in chiave positiva, della già ricordata, inedita situazione della Chiesa nel mondo moderno: l’avvenuta separazione tra Chiesa e società non é più considerata come motivo di cruccio e punto di partenza per una riconquista apparsa sempre più improbabile, ma come occasione storica per ritrovare il senso originario della propria missione, che non é affatto, o non prima di tutto, quello di pilotare una società, ma quello di testimoniare la novità evangelica.

Se dunque la figura di Maria – come si é visto – fin dall’epoca antica, per l’Oriente, e poi nel cuore del Medioevo, per l’Occidente, era emersa in rilievo, e – potremmo dire – in distacco dalla compagine ecclesiale, dando visibilità a quello spazio di interconnessione tra cielo e terra costituito, più che dalla Chiesa, dalla cristianità, ossia dalla Chiesa che gestisce il mondo, ci si doveva aspettare, in questa svolta, una profonda, quasi definitiva crisi della devozione mariana.

In effetti, i principali movimenti che, riconducendo la Chiesa alle fonti del proprio essere e alle proprie origini, hanno preparato, lungo tutta la prima parte del secolo, la svolta del Vaticano II, sembravano progressivamente dover restringere lo spazio riservato a Maria[52].

Il movimento biblico portava a ridimensionare molta parte della rigogliosa letteratura attorno a Maria, riconducendone la figura a quelle poche, essenziali note che ne danno i Vangeli.

Il movimento liturgico, ristabilendo l’antico ordinamento delle celebrazioni e, soprattutto, ripristinando la corretta gerarchia del culto, avrebbe ampiamente ridimensionato la molteplicità di devozioni particolari aggiuntesi nel tempo.

Il movimento ecumenico, infine, riaprendo il dialogo con le comunità cristiane separate, avrebbe portato a condividerne almeno in parte l’atteggiamento critico nei confronti dell’eccesso di culto mariano, a scapito della centralità di Cristo.

In effetti, così é stato, e tuttavia ciò non ha comportato una perdita della devozione mariana, ma piuttosto una purificazione che ne ha valorizzato i contenuti più autentici e originari[53].

A fianco dei movimenti sopra ricordati, si é sviluppato quello che potremmo definire un vero e proprio “movimento mariano”, con la celebrazione di numerosi congressi, in buona parte di studio, nazionali e internazionali[54]. Anche per merito di tali studi aggiornati, si é potuto aggiungere un secondo dogma mariano, fondato su una antichissima tradizione di devozione e di culto: quello dell’Assunzione in anima e corpo di Maria al cielo, proclamato nel 1950.

Quanto al Vaticano II, il passaggio fondamentale a riguardo della devozione mariana, é espresso nella contrastata decisione di non produrre un documento a sé stante a riguardo della Vergine Maria, bensì di inserire le considerazioni al riguardo a conclusione dell’importante costituzione sulla Chiesa, la Lumen gentium. Ciò ha significato riportare la figura di Maria all’interno della compagine ecclesiale, considerandola più come modello di vita cristiana da imitare piuttosto che come eccezionale creatura da ammirare.

Il che non si é attuato contestualmente ad una riduzione della sua importanza; anzi – oltre al fatto che per la prima volta si é trattato in modo organico di Maria in un concilio ecumenico (analogamente a quanto avvenuto per la Chiesa),  lo si é fatto a partire proprio dalla qualità più alta e originaria di Maria: quella di Madre del Dio fatto uomo. Come tale, essa si pone in diretto, intimo, rapporto con Cristo, ma anche risulta relativa a Lui e, in questo senso, profondamente vicina a tutti i suoi discepoli, dunque alla Chiesa. Per dirlo – certo meglio – con le parole con cui Paolo VI, che nella Marialis cultus del 1974 riprenderà ed approfondirà le linee conciliari, commentava la svolta conciliare:

«Pur nella ricchezza delle mirabili prerogative di cui Dio l’ha ornata, per farla degna Madre del Verbo incarnato, essa tuttavia è vicinissima a noi, Figlia di Adamo come noi, e perciò nostra Sorella per vincoli di natura […] Nella sua vita terrena ha realizzato la perfetta figura del discepolo di Cristo […] e ha incarnato le beatitudini evangeliche proclamate da Cristo»[55].

 

Un secolo contraddittorio[56]

 Ora si può e si deve anche dire che il medesimo secolo che ha condotto ed é culminato al Vaticano II, e alla sua riscoperta di Maria unita alla Chiesa – chiudendo in tal modo un cerchio che, dalle origini all’epoca contemporanea, si era un po’ troppo allargato –, presenta anche altre tendenze riguardo alla devozione mariana.

Esso é stato, infatti, caratterizzato da un’«ondata di apparizioni mariane». Ne sono state contate ben oltre duecento[57], la quasi totalità delle quali, ovviamente, non ha avuto riconoscimenti da parte dell’autorità ecclesiastica.

 Si é continuato a considerare la Vergine come figura e strumento di riconquista della società e di lotta contro il mondo pervaso dal male. L’episodio forse più chiaro, al riguardo, che si é verificato anche localmente, ma é nato come iniziativa universale, é quello della Peregrinatio Mariae, più popolarmente indicata come «Madonna pellegrina». Dopo alcune iniziative già prima dell’inizio della II Guerra mondiale, si é proseguito, alla fine del conflitto, con la Madonna di Fatima, nell’occasione del trentesimo delle apparizioni, che cadeva nel 1947[58].

Innanzitutto, l’impostazione di fondo é la medesima delle apparizioni otto-novecentesche: riflette la ricerca di ascolto e considerazione, da parte del mondo, di una Chiesa ormai marginalizzata: «Invece di essere i fedeli a recarsi a visitare la santa immagine, è quest’ultima che viene trasportata nelle città e nei paesi affinché sia venerata da tutto il suo popolo». In Francia, dove tali peregrinazioni avvengono già nel 1948, la Vergine, alla quale i vescovi consacrarono la nazione nel 1943, viene indicata infatti con il titolo di «Madonna del Gran Ritorno».

Inoltre, l’intento di riconquista, anche banalmente politica, come avvenuto in Italia, é ben espresso – oltre che da un certo trionfalismo nelle manifestazioni esteriori (addobbi e luminarie a gara), l’enfatizzazione della visita a luoghi “proibiti” quali le fabbriche, la notizia di conversioni clamorose, ecc. - dai testi che illustrano e commentano l’iniziativa. Leggiamo da un opuscolo riguardante la nostra diocesi, anno 1950:

 «Ad arrestare la Mezzaluna che minacciava l’Italia e l’Europa, Maria segnò i trionfi di Lepanto e di Vienna. Ad arrestare la marea protestante, Maria ingemmò di apparizioni e grazie, e la Chiesa di santuari le nostre Prealpi [...] In quest’ora minacciosa ed oscura, Maria salvi una volta ancora la fede e la morale delle nostre parrocchie col suo Gran ritorno tra noi. Poiché questo è il significato di quanto avverrà anche tra noi, nella nostra diocesi: il ritorno di Maria contrassegnato dal Grande ritorno nostro a Dio»[59].

 Certo, non si può negare l’esistenza, anche dopo il concilio, di una modalità nel concepire la devozione mariana fatta ancora in prevalenza di prodigioso, di straordinario, di esteriore. Le svolte importanti e profonde hanno bisogno di tempo per essere comprese e assimilate.

Ciò che importa, storicamente sottolineare, e con una certa forza, é che la riforma del Vaticano II, in questa come in altre fondamentali tematiche (innanzitutto, quella della Chiesa) non é stata dettata da una scelta cervellotica e neppure da contingenze di mentalità o, addirittura, di “moda”. La riforma liturgica, in particolare, e il connesso ridimensionamento della devozione mariana, é stata iniziata – é bene ricordarlo – dallo stesso papa del dogma dell’Assunzione, Pio XII[60]. Essa corrisponde ad una lenta e profonda riscoperta della condizione originaria della fede e della vita cristiana – certo propiziata, come si diceva, dalla inedita situazione di marginalità della Chiesa nel mondo -, dunque ad una autentica re-formatio.

Più di tante considerazioni teoriche, potrà bastare la lettura, anche solo parziale, di un testo.

E’ una poesia, scritta alla fine della sua breve vita, da santa Teresina del Bambin Gesù. Essa che ha vissuto e scritto di una santità finalmente non fatta di straordinarietà, ma di semplicità evangelica, dunque autenticamente cristiana, ha espresso in un poesia il senso più autentico e profondo della devozione mariana: un affettuoso sentimento di vicinanza nella condivisione delle fatiche e delle gioie della fede che anche Maria ha vissuto, come noi, secondo quanto ci attesta l’unica fonte attendibile che ce ne parla, il Vangelo.

E’ la medesima prospettiva assunta dal Vaticano II nei confronti della devozione mariana. Il fatto che questo testo sia di cent’anni prima, e di una santa così, basta a far comprendere il valore permanente, proprio perché non legato a mode del momento, ma alla profondità della fede cristiana, della svolta conciliare.

 

Teresa di Gesù Bambino, Perché t’amo, Maria

 

«Io vorrei, Maria, cantare perché t’amo

e al tuo dolce nome trasalisco in cuore;

[...]

Se nella sublime gloria t’ammirassi

mentre i beati tutti in splendore superi,

mai credere potrei che ti sono figlia:

e gli occhi abbasserei innanzi a te, Maria.

 

Perché un figlio possa amar la madre sua,

essa ha da spartir con lui le pene e piangere.

[...]

La vita tua nel Vangelo santo medito,

osando guardarti ed accostarmi a te.

Non m’è difficile credermi tua figlia:

mortale e dolente come me ti vedo.

 […]

Madre amata, io nella mia piccolezza

come te possiedo in me l’Onnipotente.

[...]

E quando in cuore mi scende l’Ostia bianca,

di riposar in te crede Gesù Agnello.

[...]

Quando Giuseppe il giusto ignora il miracolo

che tu vorresti nell’umiltà celare,

piangere lo lasci presso il Tabernacolo

che vela del Signor la bellezza eterna.

Amo, Maria, l’eloquente tuo silenzio!

Esso per me è dolce concerto armonioso!

Mi dice la grandezza e l’onnipotenza

di chi l’aiuto dal Cielo sol aspetta.

 

Poi vi vedo, Giuseppe e Maria, più tardi

respinti dagli abitanti di Betlemme.

Nessuno accoglie voi poveri stranieri

nella sua locanda: il posto è per i grandi.

Il posto è per i grandi, e là in una stalla

la Regina dei Cieli partorisce un Dio.

O Madre cara, quanto m’appari amabile

e come sei grande in un luogo così umile!

[...]

Io ora comprendo il mistero del Tempio

[…]

O Madre, tuo Figlio ti vuole modello

di chi nella notte Lo cerca con fede.

[…]

So che a Nazaret, Madre di grazia piena,

povera tu eri e nulla più volevi:

non miracoli o estasi o rapimenti

t’adornan la vita, Regina dei santi!

In terra è grande il numero dei piccoli

che guardarti possono senza tremare.

La via comune, Madre incomparabile,

percorrere tu vuoi e guidarli al Cielo»[61].


 Bibliografia consultata

P. Amato, Arte/Iconologia, in Nuovo dizionario di mariologia, pp. 138-154.

S. Barnay, Specchio del cielo. Le apparizioni della Vergine nel Medioevo, Genova, Marietti, 1999.

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[1] Serlone di Savigny, Sermone, in Testi mariani del secondo millennio, III, p. 286. Benedettino francese, Serlone, ammiratore e discepolo di Bernardo, aderisce con tutta la sua congregazione (Savigny) all’Ordine cistercense. Muore nel 1158.

[2] Gambero, Introduzione (III), p. 31.

[3] Ancora in  riferimento alla «fine dell’epoca patristica», Leclerq parlava di «estrema sobrietà del culto mariano», raffrontandola poi «all’esuberante religione della fine del Medioevo» (Leclerq, Grandeur, p. 171).

[4] Barnay, Lo specchio, pp. 33-34.

[5] Testi mariani del I millennio, I, p. 45.

[6] Marie (vierge), coll. 444-446.

[7] Testi mariani del primo millennio, II, p 15.

[8] L’osservazione, certo pertinente, é di Jourjon, Meunier, Marie, p. 790. In effetti, l’unico caso noto in cui si verificò un culto verso Maria come ad una divinità, fu condannato come ereticale. Si tratta della setta dei «Colliridiani»: diffusa in Arabia nel secolo IV; offriva alla Vergine, una volta all’anno, un sacrificio di pani rotondi (“corrillidi”, da cui il nome della setta). Vedi Cocchini, Corillidiani.

[9] Testi mariani del I millennio, II, p. 15.

[10] «La neve estiva è una figura simbolica di Dio. Essa […] ha in sé i due termini opposti per indicare che Dio è sia “Colui che è”, sia “Colui che non è”, sia la neve sia il calore bruciante che la fa fondere e sparire» (Barnay, Specchio, p. 176.

[11] Amato, Arte, pp. 142-143.

[12] Quegli elementi di culto mariano che vi appaiono – nella liturgia, nella pietà, nell’arte - sono quasi completamente di derivazione orientale (Koehler, Storia della mariologia, p. 1394), forse anche favoriti dal passaggio di artisti da Oriente ad Occidente, a seguito della crisi iconoclasta, tra VIII e IX secolo.

[13] Tutti gli autori concordando nel definire “secolo mariano” l’XI o il XII secolo. AD esempio, Marie (vierge), col. 450; Koehler, Storia della mariologia, p. 1394. Sembra più precisa la periodizzazione di Leclerq, Grandeur, p. 174, secondo cui «il grande secolo mariano» é l’XI, mentre «il XII secolo e i seguenti approfitteranno dell’impulso dato dall’XI»; siamo sempre nell’ambito di quel vasto movimento riformatore di cui si sono indicate le linee essenziali.

[14] Leclerq, Grandeur, p. 178. ritiene la contemporanea  diffusione del culto mariano nel secolo XI «uno degli aspetti del rinnovamento generale che la Chiesa allora conosce».

[15] Attestata almeno dal 1135 (Gambero, Introduzione (III), p. 24.

[16] Maria (DIP), col. 918.

[17] M. Longatti, S. Xeres, Fondazioni monastiche in diocesi di Como dalle origini al XII secolo, «Archivio storico della diocesi di Como», 4 (1990), pp. 67-95.

[18] Pier Damiani, Epistula XXXII, in Patrologia latina, 144, coll. 431-432.

[19] Lavarini, Il pellegrinaggio, p. 423.

[20] Vedi al riguardo P. Zerbi, Il vescovo comense Rainaldo: un momento dei rapporti fra Como, la Chiesa e l'Impero nel secolo XI, in Atti dei convegni celebrativi del centenario, 1878-1978, Como 1979, pp. 23-43, ora in Idem, «Ecclesia in hoc mundo posita», Milano 1993, pp. 253-281.

[21] Barnay, Lo specchio, p. 38.

[22] Signori, La bienheureuse, p. 593.

[23] Barnay, Lo specchio, p. 71.

[24] Marie (vierge), col. 450; Koehler, Storia della mariologia, p. 1394..

[25] Barnay, Specchio, p. 100.

[26] Barnay, Specchio, pp. 179-183.

[27] Maria (DIP), col. 920.

[28] Th. Koehler, Marie (Sainte Vierge). Du moyen âge aux temps modernes, in Dictionnaire de spiritualité, X, Paris 1980, col. 454.

[29] Gambero, Introduzione, IV, p. 26.

[30] Cattaneo, Il culto mariano, p. 265.

[31] Adami abbatis Perseniae epistolae, ep. XVI, in PL 211, col. 636, cit. in Barnay, Specchio, p. 95.

[32] Barnay, Specchio, p. 70.

[33] Le proporzioni sono calcolate, per quest’epoca, in un terzo di laici sul totale dei veggenti, e di un terzo di donne, sempre sul totale dei veggenti (Barnay, Specchio, p. 101) .

[34] Barnay, Specchio, p, 167.

[35] [O. Santi], Cinquecento anni di vita del santuario della Beata Vergine delle grazie in Grosotto, Menaggio 1989, pp. 10-11.

[36] Cracco, Tra santi, p. 270: «La Madonna sfuggiva ai condizionamenti del potere; non aveva bisogno di canonizzazioni papali; apparteneva al popolo prima che alle istituzioni; le gerarchie non potevano bandirla facilmente e neppure neutralizzarla. E il popolo […], il più bisognoso di trovare conforto, […], non attendeva che di affidarsi alla Madonna».

[37] Barnay, Specchio, p. 164.

[38] Venne Gesù a colui, in Le laude dei Bianchi, nr. I, vv. 293-296.

[39] Misericordia, eterno Iddio, in Le laude dei Bianchi, nr. V, vv. 11-14. 20-23.

[40] Peccator, tutti piangete, in Le laude dei Bianchi, nr. XII, vv. 1-3.

[41] Concilio Lateranense V, sessio XI, Circa modum praedicandi, in COD, p. 637.

[42] Koehler, Maria nella storia, p. 118.

[43] Marcucci, Santuari mariani, p. 72.

[44] Brückner, La riorganizzazione, p. 208.

[45] L’osservazione è di Niccoli, La vita religiosa, p. 46.

[46] Storia del cristianesimo, VIII, p. 937.

[47] Lavarini, Il pellegrinaggio, pp. 497-501.

[48] Rinaldi, La devozione lauretana.

[49] L.A. Muratori, Della regolata devozione dei cristiani. Introduzione di P. Stella, Cinisello B., Paoline, 1990, pp. 195-197.

[50] Stella, Prassi religiosa, p. 133.

[51] Leone XIII, Fidentem piumque (1896), in Enchiridion delle encicliche, III, p. 99.

[52] Vedi Laurentin, Maria nella fede, pp.513-516.

[53] «Il divenire storico della spiritualità mariana del secolo XX richiede di essere letto e interpretato secondo la prospettiva pasquale […] E’ necessario esser disponibili a rivedere la personale concezione sulla spiritualità mariana alfine di consentire allo Spirito di poterci introdurre in una nuova spiritualità mariana più autentica. Nelle stesse forme devozionali domina il divenire pasquale del morire-risorgere per adorare Dio sempre più “in spirito e verità”» (Goffi, La spiritualità contemporanea, p. 351.

[54] Marie (vierge), coll. 473-474; Koehler, Maria nella vita (sec. XX), p. 110..

[55] Paolo VI, Discorso nella 116a congregazione, 6 novembre 1964, in Enchiridion Vaticanum, I, nr. 310*,

[56] Così anche Marie (vierge), col. 473 («une période contrastée»).

[57] Lavarini, Il pellegrinaggio, p. 664.

[58] Lavarini, Il pellegrinaggio, pp. 650-651.

[59] Peregrinatio Mariae nella diocesi di Como, Como, s.e., 1950, p. 7.

[60] Marie (vierge), col. 474.

[61] In Eadem, Opere complete, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1997, pp. 721-727.