SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE ASSUNTA IN MORBEGNO

(Prof.  Giulio Perotti)

   

Il santuario morbegnese (“La Madonna” nella dizione locale) è uno dei più importanti della provincia di Sondrio sia dal punto di vista artistico (è stato considerato sintesi dell’arte valtellinese del Rinascimento e del Settecento) che dal punto di vista della devozione popolare (è “gestito” tutt’oggi da una confraternita documentata fin dalle origini della chiesa stessa, agli inizi del Quattrocento).

 

Documenti d’archivio della Confraternita, già pubblicati da don Santo Monti alla fine dell’Ottocento[1], testimoniano che la costruzione di una chiesa dedicata «a santa Maria e al santo e glorioso martire Lorenzo» iniziò attorno al 1418 per industria parroco di Morbegno Bernardo degli Uberti di Valsassina e di molte altre persone abitanti nello stesso paese. Il documento riporta un elenco di reliquie donate alla chiesa dalla nobile Francesca, moglie di Giacomino da Iseo, capitano della Valtellina.

La costruzione della nuova chiesa va interpretata come espressione della pietà popolare tipica del Quattrocento[2], diffusa anche in Valtellina e a Morbegno, in rapporto alle condizioni politiche e sociali del tempo: lotte tra fazioni nobiliari, violenze, disinteresse dei governanti nei confronti della popolazione, che spesso versava in condizioni miserevoli (come attesta la tradizione sul Beato Andrea da Peschiera) anche a causa di carestie, pestilenze, alluvioni. La religione, quindi, veniva considerata «’egoisticamente’ come una garanzia di salvezza personale e famigliare, in primo luogo nelle bufere incombenti sulla vita quotidiana, dominata dalle potenze onnipresenti del male». Si avvertiva l’esigenza di un «Dio provvidenziale; non l’Onnipotente, ma il Misericordioso, il Figlio dell’Uomo che riscatta e dalla dannazione eterna e dai mali della vita. Venerati erano i Santi, che avevano ripercorso e continuavano a calcare la terra bene faciendo et sanando omnes, come Cristo; supplicata la Madonna, sua Madre, che con lui aveva dato al mondo la Grazia, e che perpetuava nella storia la propagazione di grazie. Venerata, la Madonna, perché unica aveva raggiunto, con l’assunzione, il premio anche col corpo»[3].

Per tutto questo, nella nuova chiesa sorta ai margini del borgo, in cui prevale inizialmente il culto di san Lorenzo assieme a quello di «Santa Maria», si affermerà la devozione della Madonna, col titolo «delle Grazie» o «Assunta», perché considerata nella sua funzione salvifica, garantita dalla sua assunzione in cielo, dove regna «regina degli angeli».

La pietà popolare spiega anche la presenza di una «scuola» o confraternita di Battuti o «disciplini», fondata, secondo la tradizione, da san Bernardino da Siena verso il 1430. La confraternita, che continua tuttora a prendersi cura della chiesa[4], nel 1522 fu insignita di speciali privilegi di autonomia da papa Adriano VI  (privilegi che provocheranno una lunga controversia con l’arciprete Carlo Rusca alla metà del Seicento).

I confratelli, verso la fine del Quattrocento, assunsero l’iniziativa di ricostruire la chiesa, troppo angusta per i numerosi pellegrini provenienti da tutta la Valtellina e dal lago di Como[5]. L’elenco di 27 miracoli fra il 1493 e il 1494 testimonia che il nuovo edificio era in costruzione: unica parete conservata della prima chiesa (o forse meglio di una cappella laterale della prima chiesa), quella con l’affresco della Vergine in trono col Bambino, attorno alla quale sarà disposta l’ancona di Giovan Angelo del Maino e Gaudenzio Ferrari.

La pianta della chiesa si svolge in senso longitudinale, ma è caratterizzata dall’innalzarsi della cupola al centro e dall’aprirsi di due cappelle laterali semicircolari sempre al centro della navata. Per questo si parla sbrigativamente di “pianta centrale”, ma «la definizione fu già contestata dal Damiani. E’ vero che la struttura è imperniata sull’emergenza del tiburio ottagonale: ma in effetti ci sembra verosimile che si sia voluto combinare la “novità” della pianta centrale, dall’indubbia monumentalità, con la tradizione della navata, più conforme, dal punto di vista pratico, alle necessità di culto, e, dal punto di vista architettonico, alle “abitudini recentemente acquisite di regolare lo spazio della prospettiva” (A. Chastel)” [6].

I progettisti e le maestranze che eseguirono i lavori non sono documentati ma sta riaffermandosi sempre più autorevolmente l’attribuzione, almeno per gli interventi architettonici conclusivi, a Tommaso Rodari. E proprio su questo argomento vale la pena di riportare quanto ha recentemente scritto Alessandro Rovetta[7]:

“La chiesa si presenta in forma articolata: ad un primo vano pressochè quadrato, coperto con volta ad unghie e vele, segue la tribuna ottagonale con ampia volta a vele impostata su quattro pilastri, aperta su due cappelle ad emiciclo e sormontata da un alto tiburio; successivamente si passa nell’antecoro voltato a crociera che introduce al presbiterio con abside semicircolare, dove è conservato l’affresco miracoloso. All’esterno il dettaglio decorativo pittorico e fittile – a fingere trabeazioni con crustae marmoree, cornici a dentelli, rinforzi angolari e ghiere – cerca di rettificare le incongruenze della fabbrica, visibili soprattutto all’interno. Ci sono infatti buoni motivi, come la diversità delle volte o le irregolarità di aggancio delle murature (si veda in particolare l’irregolarità di attacco del vano anteriore sui pilastri della tribuna), per credere che la tribuna e il vano anteriore corrispondano ad una sequenza di ulteriori ampliamenti, databili entro l’esecuzione rodariana del portale. La zona absidale e l’antecoro voltato a crociera potrebbero rappresentare una prima fase di fabbrica, cresciuta attorno al dipinto mariano e databile entro il 1506 della consacrazione; il grande vano addossato ad oriente potrebbe risultare dall’antica San Lorenzo, poi divenuto sacrestia. La tribuna con l’alto tiburio e le due cappelle ad emiciclo – più profonde di quella absidale – venivano ad aggiornare la precedente articolazione, ancora di tipo tardo quattrocentesco, sul più prestigioso modello tricoro di S. Maria delle Grazie a Milano. Anche nel santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, Amadeo, nel primo decennio del secolo, aveva aggiunto una tribuna con due cappelle laterali ad una più antica struttura di tipo solariano. La tribuna morbegnese rappresenta una prima proposta tricora per il terrritorio della diocesi lariana, precedente al 1515, e, dato anche il rapporto qui documentato con Tommaso Rodari, induce almeno il sospetto che per il duomo comasco a quella data una proposta triabsidata fosse già plausibile. Anche la volta unghiata del vano anteriore richiama modelli bramanteschi, mentre l’attento classicismo del disegno della facciata – con la particolare sintassi di lesena-controlesena-trabeazione che risente degli aggetti e alto timpano – presuppone qualche forma di aggiornamento su Cristoforo Solari o Cesariano, a quella data non ancora documentati a Como. Contemporanee sono però le notevoli architetture dipinte nelle Storie di S. Caterina in S. Antonio di Morbegno da Bernardino De Donati, di origine milanese, e da Giovanni Ambrogio Ghezzi, non a caso genero di Tommaso Rodari. Con il ciclo cateriniano l’Assunta condivide l’analogo sviluppo interno della tribuna, la bramantesca volta lunettata, il modo semplificato di segnare i capitelli nel finto loggiato del tiburio con modanature a ‘ricinti’, secondo i termini di Francesco di Giorgio Martini.

La cornice sottogronda del tiburio richiama quella del timpano della facciata, a segnalare un rapporto di continuità tra i due elementi per cui si può pensare ad un progetto unitario di ampliamento, seguito con qualche soluzione di continuità e siglato dal portale rodariano del 1517. Il notevole sviluppo verticale del tiburio può far pensare ad un sopralzo, ma va considerato l’uso valtellinese delle alte copertura esterne per volte di tipo sferico e soprattutto la riuscita, ad una visione frontale, del rapporto tra la distesa facciata, il solido ottaedro – più vicino alle concezioni di Battaggio che a quelle di Amadeo – e le due ali curve, sfuggenti, delle cappelle laterali.

Rispetto al Santuario di Tirano, l’Assunta, nella sua immagine definitiva, manifesta un’ulteriore evoluzione nella concezione architettonica dell’edificio sacro, pensato ancor più come organica articolazione di volumi saldamente definiti e in libera distensione prospettica nello spazio circostante.

La decorazione scultorea della facciata dell’Assunta ci consegna un Rodari che ha temprato lo slancio antiquario delle edicole pliniane e della porta della Rana in un classicismo più organico e strutturale, concepito in termini di misura e geometria, per ricondurre ad un ordine evidente la vitalità, minuta o monumentale, dell’organismo architettonico. Ne danno esempio le paraste del portale dove la rapida e brulicante fioritura di motivi all’antica è saldamente inquadrata da una bella cornice che approfondisce il campo ornamentale ottenendo un effetto plastico e luministico distante dalla piatta grafia dei portali laterali di Tirano e di Mazzo quanto dalla dispersiva sovrabbondanza delle candelabre comasche. L’intelaiatura e la trabeazione assicurano corrette assimilazioni vitruviane; le due statue-pinnacolo dell’Angelo e della Vergine Annunciata raccordano l’impalcatura compositiva ed iconografica – sui piedestalli delle lesene sono raffigurati Adamo ed Eva – al rosone centrale che ospita entro un sole raggiato la Madonna ed il Bambino.

Tommaso esprime questa sua assimilazione classicista rinnovando dall’interno la tradizione costruttiva del territorio: lo schema della facciata riprende infatti i modelli ‘poveri’ dei prospetti a capanna con portale e finestre laterali ad altezza d’uomo di cui era cosparsa la valle, dal S. Abbondio di Vione di Mazzo al S. Silvestro di Teglio. Come Cesariano nei confronti del duomo di Milano, così Rodari ‘dimostra’ l’anima vitruviana dell’architettura tradizionale esplicitandola con sorprendente chiarezza ed equilibrio: per questo la facciata dell’Assunta resterà un modello per quasi due secoli di architettura valtellinese, come attestano il santuario di Grosotto o la parrocchiale di Chiuro. La documentazione conclusiva della fabbrica a favore di Tommaso Rodari per i lavori in facciata, molto elogiata e ben pagata, incoraggia ad attribuirgli l’intero ampliamento che abbiamo riconosciuto nella sua coerenza almeno concettuale”.

La novità dell’architettura dell’Assunta, sottolineata dal Rovetta in ambito regionale, si evidenza anche nel panorama morbegnese in quanto negli stessi anni si stava ricostruendo la chiesa conventuale di Sant’Antonio, che conserva uno schema architettonico più tradizionale: quello ad arco-diaframma adatto alle esigenze degli ordini religiosi dell’Osservanza, per la necessità di ampi spazi in cui riunire i fedeli per assistere alla predicazione.

Sul finire del Quattrocento a Morbegno sono dunque aperti due cantieri che dimostrano, tra l’altro, la presenza nel borgo di una classe nobiliare/borghese culturalmente aperta, che sa rispondere con notevole sensibilità alle esigenze religiose e sociali di tutta la popolazione locale. La chiesa domenicana di Sant’Antonio è legata all’Assunta anche da un altro motivo: dal fatto cioè che entrambe furono consacrate dal vescovo domenicano Matteo Olmo, nativo di Morbegno, inquisitore a Milano, suffraganeo del vescovo di Como. Nel 1504 Sant’Antonio, e nel 1506 «la chiesa dedicata un tempo a San Lorenzo martire, ora ampliata e consacrata sotto il titolo e in onore della gloriosissima madre di Dio, la vergine Maria»[8].

Accanto alla chiesa sorse contemporaneamente il fabbricato del «capitolo», dove fino al Settecento i confratelli si riunivano per le loro devozioni, in particolare per il canto dell’Ufficio della Beata Vergine. Durante i recenti restauri sono venuti alla luce due affreschi cinquecenteschi sulla parete verso la chiesa (san Domenico di Guzman – datato 1503 - e san Bernardino da Siena) che confermano la contemporaneità della chiesa e dell’annesso fabbricato.

Altri affreschi cinquecenteschi superstiti all’esterno della chiesa ornano le lunette delle porte laterali: la Madonna col Bambino, san Pietro martire e santa Caterina da Siena, attribuita a Giovanni Andrea de Magistris, nella lunetta est, e la meno pregevole Pietà con santa Marta e san Giovanni, nella lunetta ovest.

 

Per quanto riguarda il significato delle sculture rodariane della facciata, riporto alcuni brani di un mio scritto apparso su “Le Vie del Bene”[9]:

Le sculture dell’angelo annunciante e della Vergine, collocate sopra l’architrave, in corrispondenza delle lesene, “esprimono l'ideale classico di armoniosa compostezza e intensità spirituale. L'angelo, colto in leggero movimento (scandito anche dalle profonde pieghe dell'abito, che costituiscono la sigla stilistica del Rodari), è rappresentato senza ali e appare come un giovane dall'eleganza tutta rinascimentale, senza nessun segno della sua identità angelica. Ha il braccio destro alzato in segno di saluto, e il sinistro (che forse reggeva un giglio), leggermente sollevato. La Vergine, anch'ella in posizione eretta, senza attributi iconografici che la qualifichino, ha le braccia incrociate sul petto, in atteggiamento di profonda umiltà e di accettazione della volontà divina: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Luca 1,38).

L' episodio dell'Annunciazione - Incarnazione è qui riprodotto con la stessa essenzialità della pagina evangelica e con l'equilibrio della razionalità rinascimentale. Questo non significa che l'artista non ne abbia colto l'intimo significato soprannaturale, ma piuttosto che lo inserisce pienamente nel corso della storia umana. Del resto, la collocazione delle sculture, con funzione anche decorativo-architettonica, ne ha condizionato l'impostazione, togliendo all'artista la possibilità di esprimersi in modo più liberamente narrativo (come lo stesso Rodari ha fatto nella sua Annunciazione, scolpita anni prima per la facciata del duomo di Como, dove le due statue si trovano all'interno di altrettante edicolette, e la Vergine è inginocchiata davanti a un leggio).

Nell'atteggiamento della Vergine sembra che lo scultore abbia voluto cogliere l'istante preciso dell'Incarnazione, la pienezza dei tempi, in cui si è realizzato l'intervento salvifico di Dio, con l'assenso della creatura umana”.

Ai piedi del portale, “sui due plinti alla base delle lesene sono ancora leggibili, seppure con difficoltà, due figure umane scolpite in bassorilievo. Un secolo fa il nostro Damiani le poteva ancora identificare con Adamo (alla sinistra di chi guarda) ed Eva, inserite in un paesaggio naturalistico che può simboleggiare il paradiso terrestre perduto.

Bastano queste prime osservazioni per intuire nell'impianto architettonico- scultoreo del Rodari il preciso disegno simbolico-narrativo della caduta e della redenzione dell'umanità. Come avviene sempre in questo tipo di decorazioni, la parte bassa indica il livello ‘inferiore’, quello della vita terrena, della storia, del mondo naturale, del peccato. Nel nostro caso, la collocazione della Vergine in posizione superiore, in corrispondenza di Eva, esprime l'antitesi già evidenziata dai Padri della Chiesa (la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria).

Come in tante chiese, soprattutto nel tardo Medioevo, anche nel nostro caso (come del resto nella vicina chiesa di Sant’Antonio), sulla facciata o sul portale è raffigurata l’Annunciazione. La Vergine, infatti, “è invocata porta del cielo nelle litanie, come nei più diffusi canti mariani, dall'Alma redemptoris Mater all'Ave Regina coelorum. Se il tempio è simbolo della  Gerusalemme celeste, verso cui tendono gli uomini gementi e piangenti in questa valle di lacrime, è la Vergine-Madre che ne costituisce la porta, presentando” Cristo all’umanità.

Nel nostro caso “la centralità di Cristo è indicata dalla scultura al centro del rosone il quale, a sua volta, si presta a una molteplicità di interpretazioni, dalla forma circolare (perfezione), alla funzione di finestra (luce). Nel nostro caso il rosone è decorato da raggi fiammati, che richiamano il simbolo di san Bernardino da Siena (fondatore della confraternita) al cui centro, anzichè il monogramma di Cristo, compare la Vergine che presenta il Bambino. Come spiega Giovanni Paolo II infatti, sintetizzando secoli di devozione popolare e di pensiero teologico, è nel suo grembo [di Maria] che il Verbo si è fatto carne! L'affermazione della centralità di Cristo non può essere dunque disgiunta dal riconoscimento del ruolo svolto dalla sua Santissima Madre. Le ‘fiamme’ del rosone rimandano inoltre allo Spirito Santo, che scese sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco (Atti 2,3). E le nostre fiamme sono proprio 12, come gli apostoli.

Lo Spirito Santo che discende dall'alto (le vetrate del rosone sono decorate con testine d'angeli) è presente nell'annunciazione (lo Spirito Santo scenderà su di te), è il dono lasciato da Cristo ai suoi seguaci (ricevete lo Spirito Santo) perché la salvezza, iniziata con l'incarnazione, si trasmetta nei secoli a tutte le creature non direttamente, ma attraverso la chiesa (apostoli).

Se oggi la dottrina sulla Chiesa ha avuto un notevole sviluppo e una presa di coscienza anche da parte dei fedeli, agli inizi del Cinquecento, quando fu decorata la facciata dell'Assunta, prevaleva probabilmente il concetto e l'esigenza di salvezza individuale. In un periodo torbido di guerre e di sciagure naturali, pur nello splendore di una nuova civiltà a cui si dava il nome di Rinascenza, si era eclissato il ‘disprezzo’ medievale nei confronti di questo mondo. Se ne avvertiva invece la grandezza e la bellezza, ma insieme anche la fragilità. Per questo si invocava la protezione divina attraverso l'intercessione dei santi, che con la loro vicenda umana avevano sperimentato l'effettiva azione della ‘Grazia’.

Così, sul fregio del portale, una scritta in perfetti caratteri rinascimentali recita Ave Maria Gratia piena. Si tratta, insieme, del saluto rivolto dall'angelo alla Vergine e della preghiera più cara ai cristiani. Si effettua cioè, con questa scritta, la duplice funzione della memoria del fatto storico avvenuto lontano nel tempo, e della salutatio, la preghiera sempre attuale dei fedeli.

La stessa duplice funzione lo scultore l'ha esplicitata nella figura della Vergine annunciata. A differenza dell'angelo, che si presenta di profilo e quindi solo come protagonista di una narrazione (memoria), la Vergine è scolpita di prospetto: nell'ambito di una "narrazione storica", certo, ma anche come oggetto di venerazione da parte dei fedeli (salutatio). A prima vista le semplici parole iniziali dell'Ave Maria - una preghiera così consueta nella devozione cristiana - sembrano prive di incidenza sul fedele che si accosta alla chiesa. Ma, se si pensa al significato più profondo dell'affermazione piena di Grazia, evidenziato da tutto il complesso della decorazione scultorea, allora quelle semplici parole, assieme alle scritte sui fregi delle finestre, completano il senso di tutta la facciata.

Sul fregio delle finestre sono incisi i primi due versetti della celebre antifona Ave Regina coelorum - Ave Domina angelorum [...] Solo con l'assunzione al cielo la Vergine ha potuto realizzare la sua maternità universale. Ed essendo superiore ad ogni altra creatura (secondo san Bonaventura Dio può creare un mondo più bello, un cielo più vasto, ma non potrà mai elevare una creatura a una dignità maggiore di Maria) per ciò stesso è Regina del cielo, e Signora degli angeli.

Questi concetti trovavano una rispondenza ben più profonda dell'attuale nei fedeli di un tempo, che nutri vano una viva e concreta speranza della patria celeste dove non ci sarà né dolore, né pianto, né lutto, né alcunche di simile (Apocalisse 21,4 ), che si sentivano effettivamente pellegrini sulla terra, sicuri che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla futura gloria che si rivelerà in noi (Romani 8, 18).

 lo splendore della patria celeste è l’immagine che tutta la chiesa dell’Assunta voleva offrire ai fedeli. Basti pensare all'ancona (su cui pure è ripetuto il motivo dell'annunciazione) e ai dipinti che decorano le pareti interne ed esterne (dove ora non sono rimaste che tracce ). L'edificio sacro si mostrava simbolo della gloria del paradiso di cui la Vergine è regina e porta col dispensare la Grazia.

Accostandosi ad esso ed entrando si aveva quasi una percezione effettiva della "comunione dei Santi": l'aldilà era famigliare e presente con la sua gloria.”

 

All’interno, come si è detto, lo sguardo converge sull’ancona, scolpita da Giovan Angelo Del Maino fra il 1516 e il 1519, dorata e dipinta da Gaudenzio Ferrari e Fermo Stella fra il 1520 e il 1526. Questo capolavoro ha suscitato, a partire dalla scoperta dei suoi autori da parte di Guglielmo Felice Damiani nel 1896[10], ma soprattutto negli ultimi tre decenni, un notevole interesse presso gli studiosi. Fra di essi l’ultimo - cronologicamente - che ne ha trattato in modo esteso è Raffaele Casciaro, che le ha dedicato ampio spazio anche nella sua recente monumentale opera sulla scultura lignea lombarda del Rinascimento. Proprio a questo volume facciamo riferimento per la descrizione dell’ancona.[11]

Innanzitutto lo studioso sottolinea come  “la simultanea presenza del Del Maino e del Rodari a Morbegno mostra la dipendenza dei Battuti valtellinesi dall’ambiente comasco, ed è nel cantiere della cattedrale di Como che sicuramente furono avviate le prime trattative con gli artisti”. Riconoscendo al Damiani il merito di aver “perfettamente inteso” “la coerenza architettonica dell’insieme”, Casciaro definisce la nostra ancona come “la più monumentale tra quelle che ci sono rimaste di Giovan Angelo”.

Passa poi alla descrizione,  dell’”imponente struttura”: essa “è organizzata intorno all’immagine votiva tardogotica della Madonna col Bambino, un affresco che si trova su di un muro isolato dall’abside e in parte nascosto dalla struttura dell’ancona, che copre anche la cornice floreale dipinta intorno all madonna e recante la data MCCCCXXX...., incompleta, con ogni probabilità quel 1440 letto dal Ninguarda durante la sua visita pastorale del 1589. Il dipinto prende posto entro una grande arcata concepita come un ingresso monumentale al tempio a pianta quadrata del quale l'ancona, con i suoi soli cinquanta centimetri di profondità, riesce a far percepire l'ingombro.

L'affresco è incorniciato da due stipiti decorati rispettivamente dai rilievi delle Vergini savie e Vergini folli, alla base dei quali compaiono le fìgurette di San Rocco e San Giovanni Battista. Ai lati dell'affresco, due nicchie accolgono a sinistra San Lorenzo, co-dedicatario della chiesa, e a destra San Bernardo. Pareggiano l'altezza del grande spazio centrale due pannelli ad altorilievo, posti al disotto delle nicchie e allineati al margine inferiore dell'affresco. Raffigurano rispettivamente l'Adorazione dei pastori e la Fuga in Egitto e sono incorniciati da pilastrini decorati da fantasiose candelabre a rilievo non policromato, l'unica parte di legno a vista in tutta l'ancona. La narrazione prosegue nella predella, con altri due pannelli, più grandi, posti direttamente sotto i precedenti e raffiguranti Cristo tra i dottori e la Pentecoste. Al centro della predella è invece la scena dello Sposalizio della Vergine. Sopra la trabeazione dell'ordine centrale troviamo la lunetta con l' Eterno benedicente e, all'imposta dell'arco, tre Angioletti musicanti per parte. Ai lati della lunetta sono collocate le due figure a tutto tondo dell'Angelo Gabriele e dell'Annunciata, entrambe incorniciate dalle ampie volute delle code di due monumentali sirene, poste a raccordare il prospetto dell'ancona con il tiburio. In realtà più che di un tiburio si tratta di un tamburo che regge una cupola piramidale tronca sormontata da un ulteriore tamburo che sostiene una cupoletta a spicchi. È dunque una struttura particolarmente complessa, che consente attraverso la scansione in molti piani di disporre su file parallele le numerose figure intagliate. Troviamo perciò sopra la cornice del primo tamburo gli Apostoli, rivolti verso l'alto in contemplazione dell'Assunta, che, circondata da una mandorla di cherubini, conclude e domina l'intera struttura. Sulla cornice del secondo tamburo, al di sopra di una balaustra di piccoli pilastri a bulbo, una danza di angioletti nudi musicanti sembra voler accentuare il movimento rotatorio suggerito dalla struttura architettonica.

Tutta la parte alta dell'ancona si mostra fortemente legata alla soluzione proposta quarant'anni prima per l'altar maggiore della chiesa di Santa Maria del Monte sopra Varese, secondo il progetto che abbiamo voluto attribuire a Giacomo Del  Maino [padre di Giovan Angelo]. [...] Il forte, indiscutibile legame con l’altare di Varese, oltre a stringere i legami tra padre e figlio nella continuità della tradizione di famiglia, serve a testimoniare l’esecuzione dle progetto dell’ancona dell’Assunta di Morbegno all’interno della bottega Del Maino, senza scomodare Gaudenzio, che spesso è stato indicato come ideatore dell’intero complesso.

Come a Varese e come accadrà di nuovo a Tirano, ai Del Maino non viene richiesto semplicemente un altare da collocare su una parete. Le forme di queste ancone alludono a un tempio, che sacralizza uno spazio dove si è manifestato il divino. Sono opere destinate a santuari dove erano avvenuti miracoli, guarigioni, apparizioni. All'interno dell'involucro architettonico della chiesa l'ancona protegge ed esalta il luogo preciso del miracolo, come un reliquiario prezioso, a cui allude lo splendore delle dorature. Il legno, più leggero del marmo, si presta alla realizzazione di strutture complesse e fortemente tridimensionali, e sulla sua superficie l'oro e i colori splendono, più che sul marmo o sulla pietra. Non è un caso se le ancone di questi santuari sono chiamate ‘tabernacoli’ nei documenti antichi. La famiglia Del Maino aveva acquisito una competenza particolare, ed esclusiva nell'assolvere a questi prestigiosi e delicati incarichi, e la ritroviamo ad eseguire i ‘tabernacoli’ nei maggiori santuari della regione.

Scartando, per tutte queste ragioni, l'ipotesi che a Gaudenzio vada attribuito il disegno complessivo, resta da appurare se al pittore almeno non risalgano alcune soluzioni particolari sia del repertorio ornamentale che delle singole scene e figure dell'ancona di Morbegno. Nel rispondere a tale quesito, occorre riflettere sulla possibilità che Giovan Angelo e Gaudenzio si conoscessero anche prima della commissione dei Battuti di Morbegno. Si notano singolari corrispondenze tra alcuni particolari delle tavole dipinte da Gaudenzio e certe figure intagliate dal nostro. Per esempio la lunetta con l'Eterno benedicente tra angeli del polittico di Arona del 1511 verrà ripresa, più o meno nella stessa posizione, anche a Morbegno”. E così altri particolari fanno pensare a influenze gaudenziane, mentre ormai note sono le dipendenze, in vario modo, di tutti i pannelli, da celebri incisioni del Dürer. “Tra le scene desunte dal Dürer, la Fuga in Egitto è quella che più fedelmente ne riprende i tratti [...] l’unico particolare palesemente modificato da Giovan Angelo è il Bimbo, che aggrappandosi alla madre si sporge verso lo spettatore, mentre nel Dürer era completamente ravvolto nei panni. Anche nella Natività, peraltro, è data maggiore enfasi al rapporto affettuoso tra madre e figlio, nel contesto di una interpretazione maggiormante variata del modello düreriano”.

In sintesi, Casciaro ribadisce che “il rapporto tra Giovan Angelo e Gaudenzio non può e non deve essere più considerato di mera sudditanza dell’intagliatore rispetto al pittore, bensì di collaborazione, che certamente arricchì le potenzialità espressive di Giovan Angelo, ma fu ben lungi dall’imporgli disegni e progetti da eseguire pedissequamente”.

Un altro rapporto che Casciaro ribadisce è quello tra Del Maino e la cultura tedesca: in particolare le candelabre della nostra ancona dimostrerebbero la conoscenza della contemporenea scultura tedesca.

Inoltre, alcune differenze stilistiche riscontrabili nell’ancona “non sono imputabili a cadute qualitative, ma all’esistenza di due personalità diversamente caratterizzate”. A Morbegno avrebbe quindi lavorato anche Tiburzio Del Maino, riconoscibile, ad esempio nei tre angioletti posti alla sinistra dell’Eterno benedicente, “più composti, dai volti tondeggianti, dolci nell’espressione”, a differenza dei tre corrispondenti angioletti sicuramente di Giovan Angelo, “agitati da un’interna tensione, dai volti affilati, con i capelli mossi, le espressioni più vivaci.”

L'ancona era chiusa da “ante o valve” dipinte da Gaudenzio Ferrari, di cui ne è rimasta forse una, riconoscibile nella tela a fianco del portale, raffigurante la Natività della Vergine, comunemente ritenuta dalla critica come opera di Gaudenzio.

Nel 1710 le ante vennero rimosse e la cassa dell’ancona fu attorniata da una cornice in legno con volute di foglie d'acanto, opera di Andrea Albiolo di Bellagio (1712).

Proseguendo nella descrizione della chiesa, ricordiamo che gli affreschi del presbiterio sono attribuiti a Pietro Bianchi di Como (1703/06). Raffigurano, sulla parete, il Martirio di san Lorenzo, sulla volta, tre medaglioni con la Nascita, la Morte, l’Assunzione della Vergine, fra inquadrature architettoniche e medaglioni di santi. Sempre al Bianchi, dalla “esuberante e fantasiosa sensibilità decorativa”[12] sono attribuiti tutti gli affreschi sulle pareti dell'intera navata, con Santi, Pontefici, Angeli ed episodi biblici.

La campata davanti all'altare è dominata dall'affresco con la Vergine fra devoti, capolavoro del morbegnese Giovan Pietro Romegialli (1768) con quadrature del milanese Giuseppe Porro. “La scena – scrive Sandra Sicoli[13] - che è connessa al culto della Vergine da parte della confraternita dei Battuti, di cui la Vergine è patrona, è una variante della tradizionale iconografia della Madonna della Misericordia. E’ da sottolineare la straordinaria resa fisiognomica dei personagi rappresentati. Intorno alla scena centrale è la bella quadratura costituita da una balconata continua con due opposte balaustre, su una delle quali sono appoggiati strumenti musicali, eseguiti con grande raffinatezza e perizia”.

Nella parete della navata sotto l'organo (strumento fabbricato dalla ditta Aletti di Monza nel 1900 e ricostruito da Piccinelli nel 1980,  collocato in una cassa barocca, con cantoria, dello stesso stile del pulpito) due grandi tele già documentate nella seconda metà del Seicento, rappresentano Ester davanti ad Assuero e Gedeone con l'esercito sulle rive del Giordano.

Sulla parete opposta, un pregevole polittico attribuito al bresciano Vincenzo de Barberis (prima metà sec. XVI), raffigura al centro l'Assunta e, ai lati, le sante Marta, Maria Maddalena, Caterina d'Alessandria e Caterina da Siena, con tre scene bibliche nella predella.  In due nicchie ottocentesche, le statue di sant'Anna e santa Lucia.

Gli affreschi della cupola sono di Giuseppe Prina di Bergamo (1709/10) e del quadraturista Giovanni Battista Pozzi di Porlezza. Rappresentano i quattro Dottori della Chiesa, nei pennacchi, e poi scene bibliche e raffigurazioni allegoriche, fra ornati architettonici, per concludere con l'Incoronazione della Vergine. Al centro pende un ricco lampadario in vetro di Murano (1886).

A sinistra, la cappella è ora dedicata all’Assunta, mentre un tempo era riservata alla custodia delle sante Reliquie, tra cui il corpo del santo martire romano Prospero. L’altare è in marmo e stucchi, con inferriate, e conserva la data 1617. Barocca la statua della Madonna col Bambino. Le pareti sono affrescate da Pietro Bianchi, con Santi e la personificazione di Virtù. Verso la navata è stato ricuperato un affresco rinascimentale raffigurante sant'Agata con la Vergine, sant'Anna e il Bambino che porta la scritta Johannes  Andreas pinxit, per cui lo si attribuisce a Giovanni Andrea de Magistris.

La cappella destra è dedicata a sant'Anna, con la pala d'altare attribuita al non identificato Giovanni Ferrari augustanus. Tra gli affreschi barocchi di fattura artigianale, un lacerto di affresco rinascimentale con una Pietà, è stato recentemente attribuito a Vincenzo De Barberis. A una delle due finestre è conservata una vetrata rinascimentale con la Natività.

La campata anteriore è dominata da un secondo affresco di Gian Pietro Romegialli, raffigurante la Gloria dei santi Lorenzo e Bernardino. Alle pareti, affrescate in alto da Pietro Bianchi con scene bibliche e angeli musicanti, sei grandi tele: di Giovanni Ferrari augustanus, i santi Gioachino e Anna, san Gioachino e l'angelo (firmate e datate 1585), il transito della Vergine, la Presentazione al tempio (attribuite). Firmata e datata 1585 dal bormiese Antonio Canclini l'Annunciazione, attribuita allo stesso la Visitazione.

A sinistra della porta, la grande tela con la Natività della Vergine, attribuita a Gaudenzio Ferrari, si ritiene costituisse un'anta dell'ancona.

Le piccole vetrate rinascimentali alle due finestre raffigurano san Martino (a est, verso la chiesa dedicata allo stesso santo) e san Pietro (a ovest, e cioè verso Morbegno, dove si trova la chiesa di san Pietro). Sulla controfacciata, due piccole tele settecentesche con Sant'Antonio di Padova e san Bernardino da Siena.

In sacrestia si conserva crocifisso identificabile con quello scolpito da Giovanni Andrea del Maino, di cui si ha notizia nei documenti d’archivio. Notevole anche dal punto di vista documentario e iconografico la vetrata rinascimentale, sempre in sacrestia, dove è raffigurato il Crocifisso adorato dai Battuti, sullo sfondo di una città murata.

Nell'annesso locale del capitolo, dove i confratelli cantavano l'ufficio fino a tutto il Settecento, e dove nel corso dei recenti restauri sono emersi gli affreschi di san Domenico di Guzman, e di san Bernardino da Siena, sono esposti alcuni degli arredi sacri del santuario.

 

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[1] NINGUARDA, La Valtellina negli atti della visita pastorale, pp. 41-44.

[2] G. PEROTTI, L’Assunta di Morbegno: arte e religiosità popolare nel Rinascimento valtellinese, «Notiziario della Banca Popolare di Sondrio», n. 29 (agosto) 1982, pp. 78-85.

[3]  Ibi, p. 79.

[4] R. RAPELLA, La confraternita della B.V. Assunta, in Santuario della B.V. Assunta in Morbegno: guida storico-artistica, Sondrio 1962, pp. 12-19; G. PEROTTI, Dagli atti delle visite pastorali: la chiesa e la confraternita dell’Assunta a Morbegno tra Cinque e Seicento, «Le Vie del Bene», Morbegno 1992, n. 2 pp. 7-13; n. 3 pp. 7-11; R. PEZZOLA, La confraternita della Beata vergine Assunta di Morbegno e il suo archivio. Nota storica dal rilevamento analitico del materiale documentario, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, n. 53 (2000), pp. 119-150.

[5] G.F. DAMIANI, Pergamene valtellinesi del secolo 15° , «Periodico della Società Storica per la Provincia e antica Diocesi di Como», vol. 10° (1894), pp. 207-213.

[6]  PEROTTI, Morbegno, p. 116. In uno studio specifico su questo tema, si è ipotizzato, qualche anno fa, che la chiesa fosse impostata su «una classica pianta a croce greca a cui sono stati ridimensionati i due quadrati laterali trasformati in cappelle semicircolari la cui area in eccesso è servita per la creazione del presbiterio. R. GIATTI, «L’ancona e la chiesa: due spazi in uno»: rapporto tra la chiesa dell’Assunta in Morbegno e l’ancona in essa contenuta, nella tesi di laurea di Maria Luisa Pasini, in «Rassegna Economica della Provincia di Sondrio»,  n. 3 (maggio) 1983, pp. 39-45.

[7]  A. ROVETTA, L’architettura in Valtellina dall’età sforzesca al pieno Cinquecento, in Civiltà artistica in Valtellina e Valchiavenna, Il medioevo e il primo Cinquecento, a c. di S. Coppa, Bergamo 2000, pp. 113-118.

[8]  Atto di consacrazione,tradotto in italiano da don Santo  Monti in Ninguarda, La Valtellina..., p. 42.

[9] G. PEROTTI, Morbegno: il tema dell’annunciazione al santuario dell’Assunta. Le sculture di Tommaso Rodari: immagini e simboli, “Le vie del bene”, 3-1996, pp. 10-14.

[10] G.F. DAMIANI, Nuovi documenti -Documenti intorno ad un'ancona dipinta da Gaudenzio Ferrari a Morbegno..., «Archivio Storico dell'arte», 1896, parzialmente ripubblicato L 'ancona dell'Assunta, numero speciale de “Le Vie del Bene,” 9-1981, pp. 13-15.

[11] R. CASCIARO, La scultura lignea Lombarda del Rinascimento, Milano 2000 .

[12]  S. S[icoli], Morbegno, santuario della Beata vergine Assunta e di San Lorenzo, in Civiltà artistica in Valtellina e Valchiavenna, Il Settecento, a c. di S. Coppa, Bergamo 1994, pp. 169.

[13] Ibidem.