Santuario “BASILICA DELL’APPARIZIONE

della Madonna” di Tirano

( Prof. Gianluigi Garbellini)

  

L’Apparizione: dal “Libro dei miracoli” iniziato lunedì 28 luglio 1505

“In Nomine Domini. Amen. In primis:

Essendo Mariolo, filiolo che fu d’uno quondam domino Romerio de Hòmodeo, habitatore di Tirano, in la contrada dove soleva stare uno quondam Plasio del Pena, sotto et appresso il ponte Puschiavino; homo justo il quale teme Idio et la sua sancta Matre; la matina de Sancto Michele arcangelo, che fu in una domenicha, adì vintinove del mese de setembri, nel anno MDIV, per volere andare a una sua vigna, et esendo un pocho dislogato dela sua casa, fu levato de terra et fu portato per insina a uno certo loco dove soleva essere uno ortecelo, ge aparse una Madona vestita de beretino, cum grandissimo splendore et suavissimo odore, et ge dice tali parole,videlicet: “Mariolo!  Mariolo!” et lui respose: “Bene, Madona” con grande pagura. La prefata Madona si ge respose: “Bene averastu. Sapi che io sono la gloriosa vergine Maria, non voia havere pagura. Sapiathe, questo anno, si è comenso una grande mortalitate de homini et de bestiami et anchora averà a pesorare in masore mortalitate, salvo et reservato che qui in questo loco se averà a fare una ecclesia a honore mio; et tuti li personi li quali haveranno a visitare questo sancto et benedeto loco, cum qualche bono et sancte elemosine, secondo la loro qualitate, sarano liberi et salvi da questa pestilentia et mortalitate”. Del che il predicto Mariolo statim se mese in oratione, et la prefata Madona se ge dice: “Va per tuto donda che tu puoi andare et notifica questa aparitione et miracolo”.

 

Un luogo di collettiva identificazione

Potremmo definire il Santuario di Tirano, senza timore di essere smentiti, il “monumento simbolo” della Valtellina, in cui si identifica l’intera comunità della Valle, che invoca da secoli la Madonna di Tirano come sua principale protettrice, anche se il titolo venne conferito ufficialmente solo nel 1946, al termine del secondo conflitto mondiale, da papa Pio XII, che proclamò la Madonna di Tirano “Celeste Patrona della Valtellina”, riconoscimento che suscitò un’ondata di entusiasmo nella Valle e che venne festeggiato con numerosi pellegrinaggi da tutta la Valtellina e da solenni liturgie alla presenza dell’arcivescovo di Milano, il venerabile cardinale Ildefonso Schuster, di tutti vescovi lombardi e dell’Ordinario della diocesi di Coira.

La storia e lo spirito stesso della Valtellina con il suo tenace attaccamento alla tradizione, i suoi slanci ideali, la sua capacità di resistenza nelle prove, trovano emblematica sintesi in questo Santuario tanto familiare ai Valtellinesi, vero sacrario di memorie individuali e collettive, oltre che luogo di preghiera e di spiritualità.

Da quasi cinquecento anni la vita non solo religiosa, ma anche civile della Valle non può prescindere da questa presenza fidata e discreta, si potrebbe dire materna, consacrata da sincero attaccamento popolare.

Soprattutto nei momenti salienti della sua travagliata storia, la Valtellina ha guardato al Santuario della Madonna di Tirano come ad un sicuro punto di riferimento collettivo, ad un polo ideale di spontanea attrazione, che, in quanto indiscusso fulcro del cattolicesimo romano, contribuì sicuramente ad ancorare definitivamente l’intera Valle al mondo latino, alla Lombardia e all’Italia, in forte contrapposizione talvolta con il mondo d’oltralpe, specialmente negli anni del dilagare della Riforma tra il XVI e il XVII secolo.

Anche il prezioso manto, di cui  è adorna la statua della Madonna, dono comunitario della Valtellina liberata dalla pestilenza nel 1746, documenta il carattere di Santuario di Valle del tempio mariano di Tirano, dove spesso – come si legge nella “Cronaca” degli anni 1762-1787 di Giovanni Antonio Zamboni di Sant’Antonio Morignone – “le solenni fonzioni” erano tenute a nome della Valtellina, come nel maggio del 1764:

“Si è statto fatto Gran solenne Fonzione alla Madonna Santissima di Tirano per otto giorni continui sendovi intervenuto a visitarla tutte le Comunità della Valtellina Processionalmente…avendo trasportatto detta Santissima Imagine o sia statua dal suo Altare ch’era esposta, all’altare Maggiore di sua Chiesa, ivi esposta in molta venerazione, ornata all’intorno di tapezzarie e fattogli un Padiglione con davanti gran lumineri di ceri e cinque lampade d’argento…Tal solenne Fonzione (fu) fattasi da detta Valtellina per impetrare la protezione della santissima Vergine, stante le presenti calamità della Chiesa, molestata dalli eretici con molte contrarietà e attentatti”.

 Al Santuario ricorse, riconoscendone i tratti di “casa comune”, il popolo valtellinese in ogni occasione della sua storia, per impetrare aiuto e soccorso nei momenti tragici e per ringraziare pubblicamente con solenni Te Deum e pubblico sparo di mortaretti il felice esito di difficili situazioni o per sottolineare  particolari avvenimenti politici, l’abbandono della Valle da parte dei Grigioni nel giugno 1797, la caduta di Napoleone e la definitiva annessione alla Lombardia austriaca nel 1815. In questo caso fu lo stesso Prefetto a dare istruzioni affinché nel santuario di Tirano - Santuario della Valle per eccellenza - si rendessero pubbliche grazie.

Nel 1861, per la proclamazione del Regno d’Italia, solennizzata da funzioni di ringraziamento, sulla vetta del campanile venne issato un grande tricolore, lo stesso immortalato dal celebre quadro di Antonio Caimi.

Il secolo XXI, nel suo esordio caratterizzato da profondi cambiamenti in ogni campo, non vede intaccate le ideali significanze di questo santuario, elevato giusto settantaquattro anni fa dal pontefice al rango di Basilica Vaticana Minore, l’unico con questo titolo in tutta la Valle, non solo per l’evidente suo ruolo religioso, ma anche a riconoscimento della sua rilevanza storica e monumentale.

 

Un luogo di grazie e di speranza

Non mancò, fin dall’inizio, l’aspetto miracolistico a corroborare la fede nell’Apparizione, subito accolta, mai messa in dubbio, confermata da una serie di prodigi, che attirò folle di fedeli e trasformò il coltivo del cavaliere aurato Luigi Quadrio in un “luogo di meraviglie”, dove accorrevano fedeli e disperati a cercare conforto dello spirito e ancor più grazie e guarigioni. Tirano diventò luogo d’incontro di gente diversa, animata dalla stessa fede e dalla devozione alla Vergine, favorito dalla sua posizione geografica, nodo di itinerari alpini ed orobici

Il carattere cittadino e locale del tempio di Tirano dovette dunque ben presto cedere alla fama, in seguito ai miracoli operati e alla numerose grazie dispensate, tanto da diventare costante meta di pellegrinaggi e da arricchirsi via via di ornamenti e arredi preziosi, resi possibili dalle “elemosine di Tedeschi, Trentini e molti altri”, come si legge nella prima monografia del Santuario pubblicata nel 1601 da Simone Cabasso.   

Fin dai primi anni e per lungo tratto della sua storia, la chiesa della Madonna di Tirano si qualificò infatti “Santuario alpino” per eccellenza, frequentato dai fedeli dei due versanti delle Alpi centrali, delle valli orobiche  e della regione lariana.

Il “Libro dei miracoli”, iniziato nel luglio 1505, pochi mesi dopo l’Apparizione, registra fin dall’inizio la provenienza di pellegrini dalla Baviera, dal Tirolo e dal Trentino, oltre che dalla limitrofa Rezia e dalla Valtellina, mentre le “patenti” concesse per la raccolta di fondi per la costruzione della chiesa - la più antica del 1508 - interessano i territori delle diocesi di Como, Trento, Brescia, Bergamo, Coira e dell’abate di San Gallo, attestati rilasciati al di là delle Alpi fino all’avvento della Riforma ( 1526 ).

Alle feste per l’incoronazione delle statue della Vergine e del Bambino del 29 settembre 1690  raggiunsero Tirano numerosi fedeli “della Rezia, del Tirolo, delle Imperiali Città, della Terra ferma della serenissima Repubblica di Vineggia, del Lago di Como” e di luoghi ancor più lontani ( G.M. Quadrio ), mossi da devozione verso la Madonna “de la Sanitate” del Ponte della Folla.

Era naturale che la fama del Santuario, dove “gli zoppi erano risanati, i muti parlavano, ai ciechi era ridata la luce e ai neonati morti senza battesimo la vita”, come si legge nella tavola dedicatoria del 1506 posta al lato della porta laterale di mezzogiorno, valicasse i confini della Valle e raggiungesse, al seguito delle carovane dei commercianti o portata da occasionali viandanti e pellegrini, località anche  molto distanti.

 

Un luogo di transiti e di incontro tra gente diversa

Tirano, situato di fronte allo sbocco della Valle di Poschiavo, era naturale incrocio di itinerari diversi. Quello Nord - Sud, lungo la trasversale alpina retica, che univa attraverso il Passo Giulia o l’Albula la valle del Reno alla valle dell’Inn con il relativo bacino danubiano e alla Valtellina, attraverso il Passo del Bernina, e che dalla valle dell’Adda proseguiva verso quella dell’Oglio, attraverso il Passo d’Aprica o il Mortirolo. L’itinerario Est – Ovest, seguendo l’andamento della Valtellina, collegava invece il Lario al Tirolo e alle regioni germaniche centro-orientali, grazie ai passi dell’Alta Valle, intersecando a Tirano il precedente.

L’antico borgo veniva a trovarsi dunque in prossimità di un importante snodo che lo contrassegnava come luogo di passaggio, di incontro, di scambi commerciali e culturali, di molteplici attività artigianali che fecero la fortuna di Tirano, naturale porta della Rezia e - viceversa - d’Italia per chi scendeva da Nord.

Lo stesso Santuario, posto esattamente all’incrocio delle due principali vie di comunicazione, sostituendosi in modo emblematico nelle funzioni all’antico xenodochio di Santa Perpetua, tappa obbligata sull’itinerario del Bernina, divenne, al di là della sua precipua connotazione religiosa, centro di raccolta e di smistamento di persone e merci, oltre che di pellegrini, ospitati presso l’Hostaria granda di San Michele a lato della chiesa, espressamente costruita allo scopo.

Se ne accorsero per tempo avvedutamente i Grigioni, signori della Valle dal 1512. Assecondando il loro spirito pragmatico e il fiuto affaristico, a due anni dalla presa del potere, istituirono con decreto del 18 giugno 1514, la fiera di merci e bestiame di San Michele, che durava in origine nove giorni ( e addirittura quindici giorni in seguito ), con particolare esenzioni fiscali, in parte a beneficio dello stesso Santuario.

La fiera, attesissimo evento di affari per tutta la Valtellina e soprattutto per la Rezia che vi smerciava i bovini, vedeva arrivare a Tirano, oltre al bestiame retico, mercanti da tutte le regioni limitrofe e perfino da remote città con ogni sorta di merci. Lo attesta, tra l’altro, un passo di G.M. Quadrio del 1753 in cui si elenca minutamente tutto ciò che si poteva trovare alla fiera con la sua provenienza: un mercato sorprendente per varietà e consistenza.

Oltre che da diverse città italiane e da località della Valle, risulta che manufatti e materie prime giungevano dalla Svizzera, dalla Germania, dall’Olanda e perfino dall’Inghilterra.

 

Strategico baluardo 

Al Santuario - ideale fortezza della Valle - si affiancarono a Tirano, luogo strategico del Ducato milanese e della Valtellina fino al 1639 - data che segna il ritorno dei Grigioni dopo l’assenza quasi ventennale legata alle vicende della Guerra dei Trent’anni - le fortificazioni militari volute sul finire del XV secolo da Ludovico il Moro: le mura del borgo e il nuovo castello di Santa Maria, che, con quelli altomedievali del Dosso e di Piattamala, tanta parte ebbero nelle vicende belliche della “Guerra di Valtellina” del 1620-1636.

Non è certo un caso che l’insurrezione del luglio 1620 - l’infausto “Sacro Macello” - abbia avuto inizio a Tirano, che si confermò in quegli anni quale ideale centro della Valle, oltre che fulcro della sua difesa: avere in mano Tirano significava infatti essere in possesso di tutta la parte centrale della valle dell’Adda.

Il ruolo e l’importanza - non esclusivamente religiosa - del Santuario della Madonna di Tirano, quale chiave della Valle e dei suoi passi, non sfuggirono ai potenti del passato. Con sollecite attenzioni e donazioni, non sempre dettate da devozione, ma anche da evidente opportunità politica, si avvicendarono nell’interesse verso il Santuario sovrani, ministri, uomini d’arme di varia nazionalità.

La Valtellina infatti, per la sua posizione centrale nelle Alpi e per le sue vie di comunicazione, fu per secoli ambitissima terra di raccordo tra Nord e Sud.

Spagna e Francia, Venezia e l’Impero germanico, a turno e con alterne vicende, si contesero infatti alleanza e favori dello stato delle Tre Leghe, cui appartenevano come “Untertanenlande”, cioé “paesi sudditi” la Valtellina e i Contadi di Chiavenna e Bormio.

Nel 1603 Enrico IV di Francia inviava a Tirano la somma di 50 franchi - da rinnovarsi ogni anno, come in effetti fecero anche i suoi successori per molto tempo - per la celebrazione ogni mercoledi di una messa all’altare della Madonna pro Rege Christianissimo.

Gli fece eco, poco dopo, il Duca di Feria, governatore spagnolo di Milano, ricevuto nel 1621 solennemente nel Santuario con un ricco legato per la celebrazione di messe “per persone incognite” per non destare sospetti in valle, seguito anni dopo dal governatore del forte di Fuentes - il baluardo spagnolo incuneato sul confine della Valtellina col ducato  - vera spina nel fianco dei signori d’oltralpe - con altro legato in denaro, affinché ardesse davanti all’immagine della Vergine una lampada per Sua Maestà Cattolica il re di Spagna.

Durante le guerre della Valtellina tra il 1620 e il 1639 il Santuario vide il passaggio di truppe contrapposte di Svizzeri, Francesi, Spagnoli, Papalini, nessuno però - per volontà degli stessi comandanti - osò recare alcun danno al sacro edificio nel corso delle campagne militari, che pur causarono tanti lutti e danni nella Valle. Anzi alcuni illustri francesi caduti in battaglia trovarono sepoltura all’interno del tempio, come  indicano tuttora le lapidi in loro ricordo.

Concluse i non disinteressati riconoscimenti della corona francese verso il Santuario il Cardinale Richelieu nel 1636, il quale fece consegnare a suo nome, quale ministro del re, splendidi paramenti in terzo con un paliotto d’altare per le solennità liturgiche.

 

Meta di sentita devozione

Fede sincera mosse l’imperatrice Claudia, consorte di Leopoldo I d’Austria, nel 1677, riconoscente per una grazia ricevuta, a far dono di un monile preziosissimo: “la gargantiglia d’oro smaltata e composta di 18 rose, di cinque diamanti per cadauna, e di 17 lacci con un diamante per ciascuno, che fanno in tutto diamanti 107”, del valore di 2.500 talleri, come si precisa nei documenti. E’ “la pettorina” di cui parlano frequentemente le annotazioni d’archivio, con la quale veniva ornata nelle solennità la statua della Madonna, oggetto purtroppo finito tra il bottino della rapace Repubblica Cisalpina nel 1798 assieme a molti arredi preziosi e al frontespizio e alle lamine d’argento - ben 7 pesi e 4 libbre – come ci informano le relazione dell’epoca - che coprivano l’altare dell’Apparizione.

Le visite di importanti personalità proseguirono negli anni: visite di cortesia, di devozione, di opportunità o forse semplicemente motivate da interesse culturale.

Il viceré del Lombardo - Veneto, l’arciduca Ranieri sostò nel Santuario nel 1816 e nel 1835, seguito dal principe Metternich, il noto cancelliere della corte di Vienna e dalle maestà imperiali Ferdinando I e la consorte Carolina nel 1838, che, scesi dalla nuova strada dello Stelvio, si recavano a Milano per l’incoronazione. Nel 1860, salutati dallo sparo dei mortaretti - il cui costo viene diligentemente annotato nei registri d’archivio - furono accolti Amedeo, Ottone ed Umberto di Savoia, figli di Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia.

Non mancarono naturalmente riconoscimenti anche da parte delle gerarchie ecclesiastiche a partire dal papa Leone X, che si interessò del tempio mariano tiranese con due distinti atti: la bolla del 15 agosto 1513, Ex debito pastoralis, con la quale conferiva alla Comunità locale il diritto di patronato sul Santuario e la bolla Ex commisso nobis del 27 settembre 1517 con la quale legava alla chiesa della Madonna i beni di S. Remigio e di S.ta Perpetua, atti confermati anche da Clemente VII e da Paolo III.

I deputati del Santuario - in numero di quattro, eletti dal Consiglio della Comunità di Tirano – si occuparono fin verso la fine dell’Ottocento dell’amministrazione del ricco patrimonio costituito da numerosi immobili: case, osteria, coltivi, pascoli, boschi, e da più di 300 livelli su terreni e rendite di lasciti privati.

Tale patrimonio andò col tempo assottigliandosi per affrontare la costruzione di argini, ponti e la manutenzione di strade, opere pubbliche cui dovette provvedere la Comunità tiranese impiegando i mezzi esclusivamente destinati al Santuario, motivo per cui incorse in sanzioni canoniche.

Nel 1515 visitò il santuario il cardinale Matteo Serahone, delegato a latere di Leone X. 

San Carlo Borromeo, che ebbe molto a cuore le sorti spirituali della Valtellina mentre dilagava al di qua delle Alpi la Riforma, aggirando il divieto dei Grigioni circa l’ingresso in valle di prelati non nativi, visitò il 27 e 28 agosto 1580 la Madonna di Tirano, sostando in preghiera un’intera notte e tenendovi solenni cerimonie e sermoni con grande concorso di popolo. Lo seguì parecchi anni dopo, nel 1664, Federico Borromeo, nunzio presso gli Svizzeri e visitatore apostolico, colui che tra l’altro suggerì la realizzazione del rettilineo stradale fra il centro di Tirano e il Santuario.

Devoti della Madonna di Tirano, si distinsero nel secolo scorso, il beato cardinale Ferrari, il beato Luigi Guanella, il venerabile cardinal Schuster, il beato Giovanni XXIII, che, da patriarca di Venezia, sostò varie volte nel Santuario, seguito per diversi anni dal cardinale Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI: una schiera di persone che nobilitarono la Chiesa con la loro vita e il loro operare. Da ultimo, Giovanni Paolo II, nel corso della sua visita alla diocesi di Como, non mancò di ricordare espressamente la Madonna di Tirano, inviando in seguito, in segno di devozione, la preziosa corona del Rosario, di cui è adorna tuttora la statua della Madonna.

 

Un ininterrotto amore popolare

La devozione popolare circondò in ogni secolo di premure e omaggio sincero la Vergine di Tirano, il cui Santuario fu meta costante di pellegrinaggi individuali e comunitari provenienti dalle parrocchie di quasi tutta la Valle e dalla Valle di Poschiavo, ripetuti periodicamente a piedi ogni anno fin quasi ai nostri giorni nella ricorrenza di particolari feste mariane.

Il movente era una pietas sincera ed immediata, perché Maria “donna del popolo”, venne sempre sentita come una mediatrice tra l’umanità e Dio,  una Madre di amore e di misericordia, ma anche la Regina del Cielo, come del resto attestano le diverse raffigurazioni pittoriche della Valle, che presentano la Madonna assisa in trono con il Bambino, in atteggiamento tra il regale e il materno.

Il fedele trovava nel passato nel Santuario ciò che per lui poteva costituire un angolo di paradiso, tra addobbi e arredi preziosi, lumi, note d’organo, di trombe e violini, canti e preghiere corali, ma soprattutto poteva ammirare da vicino in tutto il suo fulgore il simulacro della Vergine, solennemente esposta nella navata della chiesa. L’amore verso la Madre di Dio e la suggestione degli apparati liturgici - affiancati allo sparo di mortaretti, a luminarie, a suoni di campane a distesa - corroboravano il suo spirito in un salutare bagno di folla commossa che trovava nell’adesione alla fede dei padri  piena e convinta identificazione.

 

Fede ed arte risultano così intimamente unite nel Santuario di Tirano da costituire un inscindibile binomio: è infatti impossibile separare nel monumento - nell’architettura come nella decorazione scultorea - l’evidente connotazione religiosa che lo contraddistingue fin nel più minuto dettaglio, trattandosi di un tempio particolarissimo, innalzato su esplicita richiesta della Vergine nella Sua apparizione a Mario Homodei .

Il Santuario nacque dalla risposta ufficiale dell’Universitas Tirani - la popolazione nella sua coralità - animata dal desiderio di creare un tempio non comune che fosse all’altezza della committenza celeste.

Per questo i maggiorenti tiranesi - guidati dal cavaliere aurato Luigi Quadrio, dal parroco Gregorio degli Omodei e dal nobile comasco Gerolamo Mugiasca - si rivolsero ad artisti di comprovata serietà  -i fratelli Rodari, ben noti a Como e nel Ticino - e non a generici capimastri locali. Desideravano infatti un’opera esclusiva, improntata a bellezza ed armonia, in sintonia con gli orientamenti culturali ed artistici che animavano allora l’architettura lombarda, i cui modelli più eclatanti - di Milano, Bergamo, Pavia  e Como - erano assai diffusi e probabilmente noti anche in Valle.

La regia teologica della costruzione - poiché il tempio non poteva prescindere in alcun modo dal suo costante richiamo alle verità di fede e dall’intento celebrativo nei confronti della Vergine Maria  - fu sicuramente affidata a persona colta e competente, molto probabilmente - ma manca ogni riferimento nei documenti - al domenicano di origini morbegnese, Matteo Olmi, attivo in Como come Magister Theologiae ...sacrarum litterarum interpres presso il vescovo Scaramuzza Trivulzio.

Fu un altro vescovo Trivulzio, Cesare, a consacrare poi solennemente il 14 maggio 1528 il tempio non ancora ultimato in tutte le sue parti, ma aperto al culto fin dal 1513.

Con enfasi - che però non tradisce il vero - potremmo dire che i nostri antenati, in tempi politicamente burrascosi e fragili ed incerti economicamente, seppero realizzare nel cuore delle Alpi un riconosciuto gioiello architettonico del Rinascimento lombardo, dove il loro inno di fede e di gratitudine alla Vergine si esprime con il linguaggio dell’arte e della bellezza, il cui messaggio non cessa tuttora di coinvolgere e stupire il visitatore.

Un miracolo vero e proprio, considerata anche la presenza dei Grigioni per lo più “di avversa religione” in quanto riformati, riconobbe del resto la realizzazione in vesti tanto sontuose del tempio mariano di Tirano lo storico del santuario Simone Cabasso, fin dal lontano 1601.

 

L’armonia dell’architettura, che l’occhio subito coglie soprattutto all’esterno, si genera fin nel più minuto dettaglio con la concordanza dei singoli elementi con l’insieme - la concinnitas universarum partium -  teorizzata da L. Battista Alberti, che si fonda su un rapporto armonico numerico: “la divina proportione” proposta da Luca Pacioli come “madre e regina delle arti”, che risulta essere il “modulo aureo”, già noto nell’antichità, ripreso con convinzione dall’Umanesimo e dal Rinascimento tanto da diventare - come nel caso nostro - “un gioco ritmico, incessante e serrato” in ogni superficie, perfino nelle parti scultoree e nei singoli dettagli figurativi della tavoletta con l’effigie di S. Martino che taglia il mantello al Povero, posto sulla sommità del portale. Tale tavoletta è infatti il modulo base di tutte le misure e della fitte rete delle maglie modulari del portale e della facciata.

L’applicazione dei rapporti aurei nel Santuario di Tirano - una vera rivelazione per molti, forse un dato scontato per lo specialista della materia - nel qualificare l’architettura e le parti scultoree attesta la presenza di maestranze capaci e tecnicamente preparate, dotate di viva sensibilità artistica e formate allo spirito del Rinascimento, che seppero conciliare antiche tecniche costruttive medievali come la triangolazione equilatera, facenti parte del loro bagaglio professionale, con quelle allora d’avanguardia: la regola ad quadratum,  introdotta nell’architettura dal Filarete e l’uso convinto del modulo aureo.

Nella loro abilità essi seppero applicare e sviluppare nel Santuario tiranese contemporaneamente tutte e tre le tecniche, ottenendo un identico risultato: l’armonia e la bellezza.

Per merito loro, il tempio mariano, votato a ricordare nei secoli l’evento miracoloso - fatto che avrebbe potuto ancorare l’opera a mero trionfalismo celebrativo - resta invece mezzo di contemplazione e di elevazione spirituale, grazie alla sua compostezza e al suo equilibrio di “edificio armonioso”, lo stesso prefigurato dall’Alberti e dal Cesariano, teorici non disdegnati dagli artefici del Santuario e dai più grandi architetti del Rinascimento lombardo tra cui l’Amadeo, il Bramante e lo stesso Leonardo, che restano i modelli più evidenti della costruzione di Tirano.

Contrariamente a quanto finora creduto, l’imponente facciata è stata così progettata e costruita fin dall’origine, compreso il frontone di “sapore veneziano”, che si riteneva aggiunto alla primitiva struttura. L’attestano la parte muraria con l’identico impiego di materiale lapideo, malte, tecniche costruttive, le note d’archivio che documentano la sola costruzione dei due pinnacoli a piramide - avvenuta nel 1676 - e lo schizzo di anonimo del primo Seicento conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano in cui appare l’alto frontone.

Anche la decorazione marmorea - con esclusione del portale - è probabilmente da assegnare ai Rodari, in particolare a Giacomo, il cui nome è discretamente adombrato nell’effigie di San Giacomo, raffigurato nel timpano della finestra cieca del frontone, così come quello del fratello è ricordato da San Tommaso al centro del timpano della finestra del presbiterio. 

 

Si accorda  alla facciata  e al corpo della chiesa in numerosi rapporti modulari e la sua struttura sottostà ad un intrinseco ordo mathematicus, per cui ogni parte si relaziona alle altre e all’insieme., dando vita ad un protiro sui generis su ispirazione dell’Alberti e del Cesariano.

Il suo autore - Alessandro della Scala di Carona sul lago di Lugano - tradisce una formazione professionale “genovese”, città dove erano attivi come magistri antelami (architetti), scultores et intaliatores marmorum, per lunga tradizione, molti compaesani  tra cui suoi familiari. Genovesi, in quanto realizzati in quella città, sono i modelli a cui si ispira per il portale: i monumenti funebri per i marchesi d’Ayamonte di Siviglia e per il vescovo Francisco Ruiz di Toledo.

Come un trattato di ornamentistica rinascimentale, il portale presenta distinte tecniche scultoree, come se l’artista volesse dar prova della sua perizia. In realtà  sono in relazione a tre distinti  contenuti:

 - quello a carattere eminentemente decorativo dei fusti delle colonne, come se esse fossero rivestite di velluto ricamato, concluso da ricchi capitelli sormontati dalle gorgoni - figure apotropaiche per eccellenza fin nell’antichità classica - urlanti la santità del luogo;

 - quello degli stipiti con sculture più corpose e tonde che si snodano in un continuum di figure bizzarre di difficile interpretazione ispirate dalle grottesche in auge nel Cinquecento e quelle delle candelabre dietro le colonne con chiare allusioni ai temi del “Tempo” e dell’”Occasione” e richiami al Bene e alla Salvezza;

 - quello, infine, della parte superiore con tavole ad altorilievo e le statue di S. Remigio e S.ta Perpetua, con contenuto di carattere religioso immediatamente percepibile, concluso dalla citata tavoletta di S. Martino, evidente sigillo che sottolinea la proprietà del tempio, appartenente alla Comunità di Tirano, che aveva per emblema l’immagine del suo patrono S. Martino, così come l’ostia eucaristica - centro focale della facciata - richiama  in modo inequivocabile l’ortodossia cattolica, sottolineatura forse voluta in un’epoca in cui il protestantesimo faceva i suoi proseliti anche in Valtellina.

 

Corona l’architettura in un piacevole gioco strutturale  che richiama il Bramante e Leonardo, dà l’illusione - se si guarda il Santuario dal viale - di trovarvi un edificio a pianta centrale ed esalta l’aspetto monumentale, rapportandosi piacevolmente con l’ambiente circostante.

Ricca è la sua simbologia che richiama nella forma semisferica la volta celeste e nel contempo ricorda la terra da cui si eleva ( il tiburio quadrato) sulla base del numero otto, numero cristologico, simbolo della Resurrezione,  ricorrente nei battisteri paleocristiani e nei templi dedicati alla Vergine.

Pompeo Bianchi, l’ingegnere della Fabbrica del Duomo di Como chiamato nel 1580 a costruire “il tiburio”, è probabilmente  solo l’esecutore di un progetto che potrebbe risalire all’architetto del tempio, Tommaso Rodari, il quale avrebbe previsto fin dall’origine la cupola esterna simile alla copertura dell’abside, come risulta anche nel modello ligneo rodariano per il duomo di Como, in cui la copertura dell’abside  si correla chiaramente alla cupola. 

Interessante è il resoconto dei lavori di costruzione desunto dalle note d’archivio, in cui appaiono tutti coloro che si avvicendarono nel cantiere, muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e “mastri todeschi” esperti nel rivestimento con lastre di rame stagnato, nonché i fornitori di materiali e del legname per la realizzazione del guscio della cupola, primi tra questi i “pescatori del Lago di Poschiavo”.

Merita attenzione la lanterna coronata dalla statua in bronzo girevole di San Michele, realizzata nel 1589 da Francesco Guicciardi di Ponte.

 

Opera eclettica, di matrice romanica sul modello della torre campanaria della parrocchiale di S. Martino di Tirano, che, alla tradizione lombarda, unisce misura ed equilibrio cinquecenteschi dovendosi accompagnare ad un edificio d’impronta  rinascimentale.

Alla tecnica della triangolazione equilatera il suo costruttore affianca una fitta rete di rapporti modulari tra le varie parti, l’intera torre e il complesso architettonico, in modo che essa si unisca armonicamente all’insieme monumentale.

Il campanile é volutamente molto alto, perché sia un “distintivo” visibile da lontano che segnali il Santuario.

Probabilmente il progetto del tempio prevedeva fin dalle origini la costruzione di una torre “lombarda”, la cui guglia - impensabile che dovesse terminare con la consueta piramide - doveva però sintonizzarsi con la cupola.  L’ottagono con la relativa copertura a cupola, costruito a partire dal 1638 da G. Pietro Marni di Bormio, faceva forse dunque parte del progetto iniziale, il cui disegno venne fornito al Marni dai deputati, come registrano le note d’archivio, ricche di mille altre informazioni sulla costruzione del campanile.

Vi figurano anche i pagamenti a Cipriano Valorsa, che dipinse nella penultima specchiatura sopra l’orologio gli stemmi dei Grigioni, quello della Comunità di Tirano, completato dalle immagini dei Santi Perpetua e Remigio e il quadrante dell’orologio.

Un concerto di cinque campane  - opus Pruneri Grosii del 1901, che sostituisce le campane precedenti fuse nel 1578 da Claudio dela Paze del ducato di Lorena, da voce all’imponente torre.

 

Ogni indizio ed ogni spia che conducano ai Rodari, presunti artefici del tempio di Tirano, sono stati  di recente accuratamente scandagliati con analisi e comparazioni con opere sicure dei fratelli Tommaso e Giacomo. Tale studio ha fornito il pretesto per meglio conoscere le strutture architettoniche e in particolare l’apparato scultoreo dell’interno, dei portali laterali e dei finestroni della facciata, indiscusse opere di matrice rodariana.

Particolare interesse riveste l’analisi della simbologia in cui si riscontrano le figure tipiche del loro repertorio e il segno della loro mano. Troviamo angeli, sirene, centauri, stilizzati fiori di loto, rose, girasoli, melograne, ma anche delfini, lepri, pellicani e capri, affiancati ad immagini di più immediato riferimento sacro, statue di santi, della Madonna e di Cristo.

La convinzione  che - al di là della documentazione diretta tuttora mancante - il Santuario di Tirano sia da attribuire ai Rodari  è  dunque suffragata da elementi oggettivi, da riscontri e congetture, che si possono desumere da diversi dettagli architettonici e scultorei  che ciascuno, sulla base degli ultimi scritti, può nella sua autonomia valutare, apprezzare e condividere o meno, pervenendo ad un suo personale giudizio.

 

L’altare dell’Apparizione

È situato nella cappella laterale, sul luogo dell’evento prodigioso, indicato da una tavoletta con la scritta UBI STETERUNT PEDES MARIAE.

Fu costituito fino alla fine del 1700 dall’ancona di Giovan Angelo Del Majno, iniziata nel 1519 e distrutta dopo le spoliazioni napoleoniche del 1798. In essa si saldavano le esigenze devozionali dei fedeli, bisognosi di suggestione, e le istanze teologiche che non possono ingulgere all’immaginario.

In un’opera d’arte tanto decantata per la sua bellezza, di cui non restano oggi che il simulacro della Vergine e le statue poste nello scurolo sul sito dell’apparizione, si trovavano entrambi gli aspetti, quelli che gratificavano l’umile popolano: le scene dei miracoli più famosi, effigiati nei riquadri, e quelli proposti dalla Chiesa, negli episodi salienti della vita di Maria che adornavano di policromia e di oro il resto dell’ancona.

Ma era nella statua della Vergine che il fedele trovava - e trova tuttora - unificate dall’arte l’umanità della Madre china sul suo Bambino e la regalità splendente della Signora del Cielo.

Da quasi cinquecento anni quel capolavoro d’arte affascina per la sua dolce bellezza e rimane nel cuore a chi si inchina devoto ai suoi piedi e sa che la sua preghiera troverà ascolto.

L’altare attuale, terminato nel maggio del 1802, è opera di Gabriele Longhi di Viggiù su disegno dell’architetto milanese Giovanni Maria Pianta, che nella nuova struttura in vari marmi pregiati volle ricordare l’ancona rinascimentale distrutta, con buoni risultati.  Degni di considerazione sono in particolare il tabernacolo a tempietto di finissima lavorazione e le tavolette in marmo di Carrara raffiguranti l’Apparizione, l’Annunciazione e due miracoli legati alla resurrezione dei bambini morti senza battesimo e del figlio del veggente annegato in una roggia.    

 

Occupa tutto lo spazio dell’ala sinistra del transetto ed invade con la sua scura mole la navata centrale, salendo fino ai pennacchi della cupola.

Forse non senza ragioni il vescovo Sisto Carcano ordinò nel 1624, sotto pena di scomunica, la sospensione dei lavori e la demolizione di quanto avviato, poichè la cassa dell’organo era “sproportionata rispetto alla chiesa”.

I deputati del Santuario ottemperarono in un primo tempo all’ingiunzione vescovile, come attestano i registri dei conti in cui si trovano le spese per “il desfamento che ha fatto il sudetto Maestro (Giuseppe Bulgarini) per haver spicinito gran parte della detta opera di comisione”. Nel 1608, dopo delibera del Consiglio Comunale, i deputati avevano infatti commissionato all’intagliatore bresciano Giuseppe Bulgarini la realizzazione della monumentale cassa. Tornarono comunque ben presto sulle loro decisioni primitive, animati dallo zelo di realizzare un’opera di insolita grandiosità in onore della Vergine.

Il libro contabile registra le spese della costruzione della cassa  “per ancora haver tornato a farla grande nel modo che hora si ritrova”.

Ben seimila furono le ore di lavoro registrate, con costi ingenti per la parte strutturale e scultorea e quella strumentale, affidata ai fratelli Mearini di Brescia. Nel 1638, l’opera fu completata con la posa dei tre pannelli del parapetto, finemente intagliati da Giovan Battista Salmoiraghi di Milano.

La cassa, nella sua maestosa architettura è un vero monumento della fede in epoca barocca, nell’ottica del “persuadere” attraverso il “meraviglioso”.

Superate le riserve dettate dalla nostra sensibilità diversamente orientata, non si può certo non riconoscere il valore artistico e documentario dell’organo di Tirano, che, come ebbe a scrivere negli atti della sua visita del 1680 il vescovo Carlo Ciceri, ben figurerebbe nella basilica vaticana.

A parte l’ardita concezione che suscita stupore, si coglie presto la bellezza di taluni dettagli scultorei nei fusti delle grandi colonne  sorreggenti una fantasiosa cimasa che, nel suo andamento sinuoso, richiama i cirri celesti sui quali appare la possente figura di Dio Padre.

L’organo, strumeno celebrativo per eccellenza tramite la sua musica, e in questo caso, grazie alla sua pomposa struttura, diviene anche mezzo di catechesi e di persuasione per il fedele, invitato ad innalzare lo sguardo, percorrendo tutta la superficie della facciata, in una ascesa fino al Padre che lo accoglie a braccia tese. Lo accompagnano un’infinità di figure simboliche, richiamanti la fede, la Chiesa, l’abbondanza delle grazie celesti e uno stuolo d’angeli musicanti accanto alle canne di stagno e argento.

Evidente è il richiamo cristologico, mentre liberatamente assente resta ogni riferimento diretto alla Vergine, che però appare in tutti e tre i pannelli del Salmoiraghi: nella scena della Natività, nell’Adorazione dei Magi a destra e nella scena della Circoncisione di Gesù a sinistra, tre importanti momenti del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio: la sua nascita in povertà, il riconoscimento della sua divinità da parte degli uomini, simbolizzati dai Magi, e la sua totale umanità che si sottopone al rito della circoncisione, previsto dalla legge ebraica.

La celebrazione della Vergine è affidata al telone  che  copre nella settimana di Passione le canne, dipinto nel 1650-51 dal pittore bormino Carlo Marni. L’apoteosi di Maria, incoronata regina dalla SS. Trinità avviene in atmosfera paradisiaca tra la schiera dei santi - molti ben identificabili, grazie ai simboli iconografici tradizionali - e degli angeli musicanti,  osannanti alla Madre di Dio.

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Naturalmente  molti altri sono i fatti legati alla storia del Santuario e le opere d’arte degni di menzione, se non di attenta analisi, e che ragioni di tempo inducono a tralasciare.

L’invito alla ricerca è pertanto rivolto a tutti coloro che desiderano approfondire gli argomenti legati a questo monumento di fede, di arte e di memorie. È infatti convinzione diffusa che, per comprendere a pieno l’anima della Valtellina e la sua storia, non si possa prescindere dalla conoscenza del Santuario della Madonna di Tirano.

  

BIBLIOGRAFIA

-S. CABASSO, Miracoli della Madonna di Tirano, Vicenza 1601, ristampa 1938

-G. A. CORNACCHI, Breve Istoria della Miracolosissima Madonna di Tirano, Tirano 1621, ristampa  1934

-G. M. QUADRIO, Storia Memorabile della Prodigiosa Apparizione di Maria SS.ma seguita in Valtellina nel Borgo di Tirano, Milano 1753 

-G. B. CROTTI, Dell’Apparizione di Maria Santissima in Tirano e del Santuario, Milano 1858

-A. GIUSSANI, Il Santuario della Madonna di Tirano nella storia e nell’arte, Como 1926

-L. VARISCHETTI, L’Apparizione della B. V. di Tirano nei documenti e nella devozione popolare, in “La Madonna di Tirano e il suo Santuario”, Sondrio  1964

-G. L. GARBELLINI, L’Altare dell’Apparizione della Madonna di Tirano nella storia e nell’arte, estratto da “Convivium” Raccolta di scritti in onore di Davide Pace, Villa di Tirano 1987  

-F. BORMETTI R. CASCIARO, Il Santuario della Madonna di Tirano nella Valtellina del Cinquecento, Milano 1996

-G. L. GARBELLINI, Nel segno del Rinascimento. Il Santuario della Madonna di Tirano, Villa di Tirano 1996.