SANTUARIO “APPARIZIONE DELLA Madonna di Gallivaggio” in Valchiavenna (So)

(Prof. Guido Scaramellini)

  

L’apparizione

L’apparizione della Madonna a Gallivaggio in Valchiavenna, annunciata da due ragazze che stavano raccogliendo castagne il 10 ottobre 1492, era narrata in una pergamena, andata dispersa probabilmente a fine ’700, ma della quale abbiamo fedeli trascrizioni seicentesche. Questo il testo, tradotto dal latino.

«Gesù Maria. Sia noto a tutti coloro che leggeranno questo documento come la beatissima Vergine Maria, madre di Dio, degnissima di ogni lode, apparve nella val San Giacomo presso Chiavenna, in diocesi di Como, l’anno del Signore 1492, il 10 ottobre, di mercoledì, dopo il levar del sole, a due fanciulle che raccoglievano castagne in una località chiamata Gallivaccio. Apparve con grande splendore dapprima come una piccola fanciulla, poi gradualmente diventando una persona adulta e nobilissima, con un velo bianco in capo che scendeva fin sulle spalle; attorno a lei c’erano degli angeli che svolazzavano come farfalle d’estate. Il candore della sua veste si riverberava sul volto, lasciando nello stupore i cuori di quelle due fanciulle che sedevano sotto un castagno, dirimpetto a un masso, su cui si fermò in piedi la beatissima immacolata madre di Dio, dicendo alle due fanciulle: “Che cosa fate, o giovani?”.

“Siamo qui a raccogliere castagne”, esse risposero.

La beatissima Vergine soggiunse: “Ne avete a sufficienza? Siete povere?”.

Risposero le fanciulle: “Ne abbiamo a sufficienza per grazia di Dio e della beatissima Vergine Maria”.

Ed ella con un dolce sorriso disse: “Sono io la Vergine Maria”.

Quelle fanciulle, sentito questo, credendo immediatamente per la bellezza e lo splendore di cui furono circondate, confortate e subito consolate dalla parola della beatissima Vergine, si alzarono e poi, inginocchiate, la invocarono dicendo: “O nostra signora, come mai sei venuta in un posto così selvaggio?”.

Rispose la beatissima: “Io vado in ogni luogo per la conversione dei peccatori”.

Quelle dissero: “O beatissima Vergine, non permettere che i giusti periscano per colpa dei peccatori”.

La beatissima Vergine Maria aggiunse: “Io non posso più oltre pregare mio figlio”.

Così dicendo, alzò il lembo della sua veste candida e splendente, mostrando le ginocchia e le mani sanguinanti e disse: “Se i peccatori non si convertiranno, il mondo non potrà durare a lungo. Sappiate questo, o ragazze, - soggiunse – che mio figlio, vostro Signore, poco tempo fa, volendo distruggere il mondo, mandò, come sapete, una folgore molto tremenda, ed io intervenendo andavo gridando: ‘Misericordia, misericordia, misericordia’. Così in altri paesi il terremoto del giorno di Sant’Antonio, dei giorni precedenti e seguenti, era stato tremendo. E questo fu particolarmente disastroso per molti che pensavano a uno scherzo e non credevano che ciò fosse accaduto per l’indignazione di mio figlio, vostro Signore. Così ancora era stato predetto che una città, Coira, sarebbe stata rasa al suolo, e ciò sarebbe avvenuto se io non avessi pregato insistentemente. Così poco prima s’era fatta improvvisamente notte per un nubifragio violentissimo che sradicò castagni, spazzò via fabbricati e ponti e, anzi, tutto annientò. Dite che, se i peccatori non si convertiranno e se non osserveranno meglio i giorni festivi, stiano certi che la punizione di mio figlio, loro Signore, arriverà presto. Dite anche che, secondo la tradizione dei miei devoti, per ossequio a me e a mio figlio, inizino a osservare il giorno festivo dalle 15 di ogni sabato; così infatti mio figlio e vostro Signore prenderà motivo di accogliere ancor più le mie suppliche per voi ed io non mi stancherò di pregare con maggior ardore per voi peccatori”.

Dicendo queste e altre parole, la beatissima Vergine si congedò dalle giovani e, lasciando questa terra, tornò nel regno dei cieli.

Su, o padri e fratelli miei amatissimi, prestate fede a questi avvenimenti, se avete fiducia nella nostra patrona (che è madre di tutti e veramente madre di misericordia, madre di meriti e di grazia), senza il cui aiuto nulla possiamo, senza le cui mani nulla possiamo sperare di buono e senza la cui mediazione nulla Dio ci concederà.

La piissima Vergine Maria in seguito confermò queste sue parole e questi suoi atteggiamenti con molti prodigiosi miracoli, il che è stato accertato dalla testimonianza di molti degni di fede e valutato come evento soprannaturale».

La pergamena contenente il racconto dell’apparizione continuava con la narrazione dei primi 29 miracoli avvenuti dopo l’apparizione. È documentato che nel 1515 il testo veniva già tradotto in tedesco, essendo la Valchiavenna da tre anni sotto il dominio della repubblica dei Grigioni, di lingua prevalentemente tedesca.

 

È curioso che l’apparizione sia avvenuta mercoledì 10 ottobre 1492, due giorni prima della scoperta dell’America, una data simbolo, che segna la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. Quanto alle ragazze che annunciarono la visione, la pergamena non fornisce il nome, ma doveva abitare nelle vicinanze, nel territorio dell’attuale comune di San Giacomo Filippo. D’ottobre era normale che delle ragazze stessero di buon mattino raccogliendo castagne, una delle poche risorse del suolo. Nel semplice colloquio, alla richiesta da parte della misteriosa signora che, prima di affrontare argomenti religiosi, si informò della loro condizione materiale, chiedendo se avessero castagne a sufficienza, le ragazze la rassicurarono, premurandosi di aggiungere per grazia di Dio e della Madonna, secondo lo stile di fede e di rassegnazione della nostra gente.

Il messaggio mariano, riferito dalle ragazze, non privo di toni severi, è una esortazione ai peccatori a convertirsi e a osservare puntualmente il riposo festivo, iniziando dall’ora nona, cioè dalle 15, o dai vespri, come si diceva. L’implorazione di misericordia, ripetuta tre volte dalla Madonna a suo figlio, ha portato a invocarla come madre della misericordia, cadendo in disuso nei secoli gli altri appellativi di Madonna del sasso o delle grazie.

Non va dimenticato che in val San Giacomo meno di vent’anni prima erano ripresi i flussi commerciali attraverso lo Spluga, grazie al miglioramento della via Mala, a nord del passo, che portava a Coira. In una economia povera, legata a quel poco che poteva dare l’agricoltura, l’associazione dei Porti, istituita fra i Comuni sui due versanti del passo, diede un apporto notevole alla vita degli abitanti della val San Giacomo, che costituiva un unico Comune e uno dei sei Porti. A turno essi davano lavoro alle persone iscritte a ruolo per il trasporto in monopolio delle merci. Era così frequente che si dovesse lavorare anche alla domenica. Si comprende così il contenuto del messaggio della Madonna.

Tra i segni inviati dal cielo come ravvedimento ai peccatori vengono ricordati il terremoto dei giorni intorno al 17 gennaio, festa di sant’Antonio abate, e il timore per la distruzione di Coira, capoluogo allora della lega Caddea, una delle tre che avevano dato vita alla repubblica delle tre Leghe o dei Grigioni. Mentre del primo fatto non si trovano riscontri, sono documentati i violenti incendi di Coira nel 1464 e il 5 aprile 1479.

La notizia dell’apparizione non si diffuse subito, almeno stando ai documenti dell’epoca. Probabilmente ciò va attribuito alla reazione delle due ragazze, che dovettero rimanere a dir poco frastornate per quello di cui erano state protagoniste, loro così poco abituate a fatti eccezionali e dedite invece a una vita metodica, umile e sempre uguale. Si saranno rivolte ai genitori e al beneficiale o curato, che allora era a San Giacomo Lorenzo de Pegorino di Fraciscio, il quale avrà informato il pievano di Chiavenna Giovan Battista Pestalozzi. Questi a sua volta avrà messo al corrente il vescovo di Como Cesare Trivulzio o più probabilmente, essendo questi spesso assente dalla sede, il suo vicario generale, il quale avrà raccomandato, come d’uso in questi casi, la massima riservatezza e prudenza.

Certo è che la prima notizia di una chiesa della Madonna a Gallivaggio è in un atto notarile del 29 settembre 1499. La sua costruzione nel punto più orrido, sassoso e pericoloso della val San Giacomo, a quota 796, ai piedi di una montagna incombente e brulla, fra tre corsi d’acqua, rimanda facilmente a un fatto eccezionale che la giustifichi, come l’apparizione della Madonna, che avviene in un periodo di altri fenomeni analoghi. Apparizioni mariane furono annunciate a Caravaggio nel 1432, a Saronno nel 1460, a Milano in San Celso nel 1485, a Grosotto in Valtellina nel 1487, a Crema nel 1490, a Villa d’Almè nella Bergamasca nel 1496. Anzi, in quest’ultima valle, a San Gallo, nello stesso anno di Gallivaggio, il 4 aprile, certa Caterina de Lupis rivelò di aver visto sanguinare una immagine della Vergine. Si aggiunga l’apparizione mariana presso Locarno in canton Ticino nel 1480 e, più vicino a noi, quella di Tirano a Mario Omodei il 29 settembre 1504.

 

I fatti prodigiosi

Già nel ’600, come testimoniano le prime storie pubblicate a Milano da Gian Giacomo Macolino, le pareti del santuario erano tappezzate “d’innumerevoli ceree, e argentee figure, di teste, gambe, petti, braccia, piedi, e di votive tabelle appesevi da campati da lor malanni”.

Tra i primi fatti miracolosi, registrati nella pergamena dopo il racconto dell’apparizione, sono ricordate le armonie celestiali e uno scampanio dolcissimo che si sentì talvolta sul luogo. Due prove venero opposte a chi non credeva che sul sasso di granito, ancor oggi conservato nel santuario, avessero posato i piedi della Madonna: il primo riguarda un giovane e un anziano presi da forti dolori ai piedi per alcuni giorni, finché non si ricredettero; l’altro fu la comparsa sopra il masso della figura della croce, mentre se ne mostrava un frammento ad alcuni scettici.

Il sasso, ridotto in polvere, diluito in acqua e bevuto, troncò la febbre a molti o il mal di denti, tenendone in bocca una scheggia.

Un fatto miracoloso è attribuito anche alla madre di una ragazza dell’apparizione: paralitica da oltre cinque anni, dopo aver cominciato a osservare quanto la Madonna aveva chiesto, guarì.

Un uomo di mezza età, affetto da malattie veneree, si raccomandò alla Madonna, “proponendo di mai più mettersi in quelle occasioni”, e risanò. Ancora, una donna, quasi morta da sei-sette ore, portata a Gallivaggio, si riebbe, dopo che il marito aveva promesso una pecora.

Alcuni fatti sono legati alla costruzione della chiesa e della casa annessa. Erano venuti a mancare quattro ferri di contrasto per le longarine degli archi del coro e miracolosamente comparvero sul cantiere. Nel costruire il locale della cucina della casa, due travi risultarono quattro dita più corte e prodigiosamente si allungarono anche più del necessario.

Un Costa di Mese, un paese nel piano di Chiavenna, raccomandò alla Madonna suo figlio affetto da scabbia e ne ottenne la guarigione. Egli stesso, proprietario di un mulino, dopo una notte in cui presentiva che là fosse successo qualcosa, si affidò alla Madonna. Recatosi sul posto alla mattina, lo trovò in fiamme, ma, gettato un solo secchio d’acqua, il fuoco si spense senza danni. È ancora lui che ritrovò con l’aiuto della Madonna una borsa piena di soldi che aveva perduto.

Uno di Pianazzòla, il paesino sul pendio sopra Chiavenna, quasi cieco da oltre cinque mesi, recatosi al santuario e promesso di pellegrinarvi per tre domeniche e di offrire una giornata di lavoro, riacquistò la vista.

Vi è anche un caso di indemoniata: accompagnata a Gallivaggio dal marito di Villa di Piuro (oggi Villa di Chiavenna), fu liberata.

Un certo Giacomo, con un tumore a un ginocchio da quasi sei anni, guarì dopo che la moglie aveva pregato la Madonna al suo santuario. Lo stesso aveva fatto la mamma di una bambina di dieci anni, muta dalla nascita. La portò al santuario e dopo la Messa la piccola cominciò a parlare.

Un giovane claudicante guarì dopo che il padre si era raccomandato alla Madonna.

Tra i prodigi riferiti dalla pergamena, solo uno riporta le generalità del padre del miracolato: è Giorgio Vertemate di Piuro, il cui figlio, agonizzante, migliorò e guarì, dopo essere stato portato a Gallivaggio.

Ancora, un sordo riebbe l’udito dopo aver baciato il sasso dell’apparizione. Un uomo della Riva di Mezzòla ritrovò i cavalli sani e salvi, che la corrente aveva trascinato via. Due uomini di Bregaglia guarirono da febbri persistenti. Uno sordo e ossesso, l’altro muto e sciocco guarirono mentre tornavano con il padre da un pellegrinaggio a Gallivaggio. Uno della valle, emigrato in Piccardia, finito in carcere perché coinvolto in una lite, si raccomandò alla Madonna della misericordia e fu liberato.

Infine un miracolo, accaduto il 12 ottobre 1583, era attestato da un affresco in santuario, oggi scomparso: Franceschina, moglie di Giovanni della Trauna di Roncaglia di Piuro, aveva avuto un figlio morto, che il padre portò a Gallivaggio, posandolo sull’altare mentre si celebrava la Messa. Al vangelo il piccolo risuscitò e fu subito battezzato. Due ore dopo “spirò nel Signore”.

 

Fin qui la pergamena, ma un’altra serie di miracoli è testimoniata dagli storici che si occuparono del santuario. Ne ricordiamo alcuni.

Pietro detto Scarella di Piuro, navigando nel 1615 verso Palermo su un vascello genovese, fece naufragio per una improvvisa burrasca e, invocata la, giunse in porto sano e salvo.

Sempre a Palermo dimorava Paolo Camillo del lago di Como, che soffriva di male ai fianchi: dopo che un padre cappuccino gli fece il segno della croce sulla parte dolorante con una scheggia del sasso dell’apparizione, il dolore scomparve. Altri emigravano per lavoro a Napoli, come Antonio Forella di Gordona che nel 1637, affetto da roseola a una gamba, risanò dopo aver fatto per tre giorni una lavanda con acqua in cui era stata intinta una scheggia del sasso miracoloso. Guglielmo Chiaverini, detto Scaotino, di Campodolcino stava navigando nel mare di Napoli nel 1673 quando fu salvato dal naufragio. Un altro di val San Giacomo, Rocco Macolino, nel 1665 si trovava a Firenze, quando fu colpito alla testa da un fendente “sin a scoprirsi la cervella”, e prodigiosamente in pochi giorni guarì. Anche Stefano Rossini, ferito da un suo avversario a una coscia, rischiava la cancrena, ma dopo undici mesi la madre si rivolse alla Madonna e il figlio si riprese. Un altro emigrante di Villa, che lavorava a Venezia, avvelenato da acqua putrida, riuscì a vomitarla dopo aver bevuto acqua con schegge del sasso.

Melchiorre Mesochetto di Piuro, dimorante a Vicenza, fu liberato dalla febbre quartana. Giovan Pietro Tognetti di Uggia, macellaio, in viaggio verso le Fiandre, fu colto dalla burrasca sul lago di Costanza. Si raccomandò alla Madonna e sbarcò senza problemi. Antonio Cerletti di San Bernardo, ammalatosi nel 1693 a Thusis, guarì per intercessione della Madonna. Lo stesso successe al dottor Fioramonte Pestalozzi di Chiavenna, arruolato nel reggimento francese del colonnello Stoppa, pure di origini chiavennasche, durante l’assalto della Girona in Catalogna, e a Giovanni Micheroli di Sommarovina, al servizio del duca di Savoia durante una battaglia in Piemonte contro i Francesi.

Un grigione della val Sursès, dopo tre mesi di febbre, avuta da un padre cappuccino una corona del rosario che aveva toccato il sasso dell’apparizione, la mise al collo e fu liberato dalla febbre. Sempre nella stessa valle gli allevatori faticavano a far cagliare il latte; ottenuto alcune schegge del sasso, lo misero nel latte e subito cagliò.

Anche gli abitanti di Chiavenna ricorsero alla Madonna di Gallivaggio quando in seguito alla frana di Piuro del 4 settembre 1618 la Mera minacciava l’esondazione e, in segno di riconoscenza, portarono al santuario 12 grosse torce di cera bianca e una grossa somma in denaro. Altre comunità ricorrevano alla Madonna per chiedere la pioggia o il bel tempo.

La stessa piccola comunità di Gallivaggio tra l’autunno del 1693 e la primavera seguente fu afflitta da una febbre maligna che fece diversi morti. Molti fecero voto di lavorare gratuitamente per una settimana al santuario e l’epidemia si spense.

Nel 1631, nel sistemare la nicchia dove mettere la statua della Madonna con il bambino, uno degli operai mise i piedi sul sasso e non li voleva levare: solo quando lo fece, l’atroce dolore che lo aveva preso sparì.

Anche le maestranze addette alla costruzione della chiesa furono beneficiate dalla Madonna. Filippo Cristoffanino della Valmaggia, affetto da febbre viscerale con emicrania e vomito, essendo già anziano, temeva per la sua vita, ma, affidatosi alla Madonna, promise tre giornate di lavoro gratuito e guarì. Qualcosa di simile toccò al compaesano Pietro Gianella, falegname. Infine mastro Giovanni Guerra, durante l’erezione del campanile nel luglio 1731, precipitò da un’altezza di oltre 20 metri. Affidatosi alla Madonna, se la cavò con una leggera ferita al ginocchio.

Altri fatti prodigiosi accaddero durante la costruzione del convento dei Cappuccini a Chiavenna nel 1640-41.

L’elenco dei miracoli continua per il Sette e l’Ottocento, ma per questo si rimanda alla monografia uscita nel 1998.

 

Le tre chiese

Una prima cappella in legno fu benedetta il 31 maggio 1493 dall’arciprete di Chiavenna Giovan Battista Pestalozzi. Erano trascorsi sette mesi e mezzo dall’annuncio dell’apparizione. Ben presto la costruzione si dimostrò insufficiente, dato il notevole afflusso di devoti, per cui, abbattutala, si cominciò nel 1510 la costruzione di un edificio più capiente e già cinque anni dopo compare il primo rettore nella persona di frate Angelo de Faciolinis. La chiesa aveva quattro altari con moltissime candele e immagini di cera e su tavola, appese attorno.

Trascorso poco più di un secolo dall’apparizione, anche questa seconda costruzione risultò inadeguata, per cui nel 1598 si decideva di erigere un nuovo santuario, che è l’attuale. Vi contribuirono i fedeli provenienti dalla Valchiavenna, ma anche dai Grigioni e dal Comasco e insieme il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, che inviò 200 scudi imperiali di Milano.

Quanto alle maestranze, qui come in gran parte della Valchiavenna operarono le ditte provenienti dalla Valmaggia, oggi in canton Ticino, alle quali va attribuito anche la chiesa di Gallivaggio, di forme molto sobrie all’esterno, secondo i dettami di san Carlo Borromeo, e più ricche all’interno, anche se si conservò quella certa misura alpina che mai eccede in decorazioni.

Presenta tra navate, divise da due file di colonne monolitiche in pietra locale e tre altari sulla parete di fondo. A differenza di oggi, ce n’era un quarto in mezzo alla navata centrale, detto dall’apparizione e costituito da una nicchia con le statue della Madonna e del bambino. Sotto era posto il sasso su cui le ragazze dissero di aver visto posare i piedi la Madonna.

Il 19 gennaio 1615 la chiesa fu solennemente consacrata da Filippo Archinti, vescovo di Como. In facciata c’erano tre finestre: tra le due aperture in corrispondenza delle navate laterali ce n’era una centrale a mo’ di rosone circolare, chiuso nel 1759, quando alla controfacciata si addossò l’organo.

Nel 1729 iniziò la costruzione del campanile, distante alcune decine di metri dalla facciata: sostituì il pilastro pericolante che si ergeva sopra il tetto in facciata. La torre, terminata nel 1731, è la più alta della Valchiavenna con i suoi 52 metri. Le prime due campane furono finanziate dagli emigranti di Roma e di Palermo, come si legge sopra l’architrave del portale.

Nel 1741 fu rimosso l’ingombrante altare centrale dell’apparizione e costruito uno nuovo in marmo nel presbiterio, mentre la pala di quello precedente fu appesa nella navata sinistra. Il masso fu collocato sotto la mensa, dove rimase fino al 1976, quando fu traslato nella nuova mense più avanzata.

Il 16 giugno 1742 il vescovo Paolo Cernuschi incoronò solennemente le statue della Madonna e del bambino. Le corone d’oro, donate dal capitolo di San Pietro in forza del legato del conte Alessandro Sforza Pallavicino di Borgonuovo (Piacenza), furono comunque, almeno in parte, pagate dalla vice parrocchia di Gallivaggio, come risulta dai documenti d’archivio.

Tra le visite illustri tra Otto e Novecento vanno ricordate quelle del beato card. Andrea Ferrari, allora vescovo di Como, che si recò a Gallivaggio nel 1892 per il quarto centenario, dei cardinali arcivescovi di Milano Ildefonso Schuster, Giovan Battista Montini, che fu a Gallivaggio sette volte prima di diventare papa Paolo VI, e Carlo Maria Martini nel 1989. L’ultima solenne celebrazione è del 1992, quinto centenario dell’apparizione, mentre nel 2000 il santuario è stato chiesa giubilare.

 

Le pitture

Entrando nel santuario, l’attenzione è attratta verso il presbiterio, interamente dipinto da Domenico Caresana di Cureglia in Ticino nel 1605-1606. Ne fanno fede due scritte dipinte nella cappella maggiore. La prima, con la firma del pittore, è nell’affresco della Natività di Gesù, sulla parete sinistra, in un rettangolo nell’angolo a sinistra in basso: “Dominicus Caresianus / de Cureglia vallis Luga- / ani [sic] hoc opus fecit. / Anno 1605”. La seconda, con il nome dell’offerente, è sullo sguancio superiore della finestra trilobata al centro della parete di fondo, dietro l’altare: “Hoc opus est / constructum pietate et / munificentia d[omi]ni Ioannis / Petris [sic] De Verteman / Franchi 1606”.

La volta a botte è decorata con scene della vita di Maria: a sinistra la Natività della Madonna e la sua Presentazione al tempio (quest’ultima si rifà a Camillo Procaccini nella chiesa della Madonna di Campagna a Pallanza); a destra l’Annunciazione e verso il fondo lo Sposalizio con Giuseppe. Nel grande ovale al centro è l’Assunzione della Madonna tra angeli, di cui uno in basso regge un lungo cartiglio con il versetto che segue l’inno delle lodi per la festa dell’Assunzione (malamente integrato dai restauri). Inquadrano la scena, oltre la cornice in stucco, coppie di testine alate su nubi.

Sulle pareti sottostanti, in ampi rettangoli, sono rappresentati a sinistra la Natività di Cristo, dove dalla culla sotto una tettoia si irradia una luce che illumina tutti gli astanti, a partire dalla Madonna e da Giuseppe fino agli otto pastori che stanno a lati, di cui due inginocchiati in preghiera. I loro volti segnano i due lati di un triangolo i quali convergono nella figura di luce del bambino, centro della scena. Sulla parete di fronte è l’Adorazione dei magi, che richiama anch’essa una analoga scena dipinta dal Procaccini nella citata chiesa di Pallanza. Il gruppo di astanti, poi, ricorre molto simile, nella stessa chiesa, in un affresco di Carlo Urbino, seguace del Morazzone. La scena di Gallivaggio ripete quella realizzata dal Caresana nella chiesa di San Salvatore a Vercana. La Madonna e il bambino occupano la metà sinistra dell’affresco, mentre nell’altra metà i sei gentiluomini in piedi sono vestiti riccamente con abiti cinquecenteschi. Tra tutti spicca quello all’estrema destra, che con la sua figura riempie in altezza il quadro. Ha lo sguardo rivolto allo spettatore con uno spadone sorretto con la destra e un pugnale a sinistra. Nasce il sospetto che si possa trattare di un autoritratto del pittore o di quel Giovan Pietro Vertemate Franchi che aveva commissionato l’opera. Simonetta Coppa avanza l’ipotesi che siano presenti più di un ritratto, magari quelli dei committenti, anche se la normativa fissata nel 1565 dal primo Concilio provinciale milanese per le diocesi lombarde proibiva nelle chiese immagini non approvate dal vescovo o contrarie alla verità delle Scritture, della tradizione e della storia ecclesiastica. Ma in fondo, anche in questo caso, l’inserimento di ritratti dei committenti poteva essere messo alla pari di quelli degli offerenti, che si continuò a ritrarre a lato, anche se spesso in dimensioni ridotte.

Il sottarco trionfale è decorato da sinistra dal veggente Bala, dalla Sibilla Tiburtina, dalla Sibilla Frigia e dal profeta Geremia, mentre sulla parete di fondo sono affrescate le due grandi figure dei profeti Isaia sopra la porta di sacrestia e Tobia sopra quella dell’oratorio, oggi ripostiglio. Nella lunetta, oltre il cornicione, attorno alla finestra trilobata sono rappresentate ai lati la Sibilla Samia e quella Chimica.

Va attribuita allo stesso Caresana anche la decorazione della cappella laterale sinistra detta della Strage degli innocenti, rappresentata nell’affresco centrale sopra l’altare, che si ispira a una incisione raffaellesca di Marcantonio Raimondi. È sormontato da lunetta con putto alato reggente le corone del martirio. Nella parete sinistra l’angelo avverte Giuseppe in sonno, appoggiato a un masso, di fuggire in Egitto, con la Madonna seduta al centro che sta allattando il bambino; di fronte la Fuga in Egitto. Sulla volta a botte sono raffigurate la Circoncisione a sinistra e di fronte la Presentazione al tempio, con il Padre eterno al centro. Nel sottarco sono dipinte le sante Apollonia e Caterina da Siena.

Ancora al Caresana con suoi aiuti viene assegnata la decorazione della cappella di destra con alcune ripetizioni tematiche rispetto a quella maggiore. Sull’altare è raffigurata l’Annunciazione con l’angelo che addita con l’indice destro un nastro su cui è scritto: “Ave grati[a] / plena / Domin[us] / tecum”. Nella parte alta dell’affresco è il Padre eterno tra angeli. Nella lunetta superiore è il triangolo con l’occhio di Dio. Sulle pareti verticali a sinistra è rappresentata la Visita di Maria a Elisabetta e a destra una mediocre Natività di Gesù con un angioletto in volo reggente un nastro con la scritta: “Gloria in altissimis Deo”; sulla volta a botte la Presentazione al tempio, la Disputa tra i dottori e, al centro, la gloria di Maria tra angeli musicanti e putti. Il sottarco presenta coppie di putti alati reggenti dei nastri.

Su questo ciclo del Caresana scrive la Coppa: “Per ampiezza ed organicità, oltre che per livello qualitativo, la testimonianza più compiuta della diffusione della tarda maniera milanese nel nostro territorio [Valtellina e Valchiavenna] è costituita senza alcun dubbio dalla decorazione della cappella maggiore e delle due cappelle terminali delle navate laterali del santuario mariano di Gallivaggio, ad opera di Domenico Caresana di Cureglia e di Camillo Landriani detto il Duchino”. A quest’ultimo si deve quella che fu fino al 1741 la pala dell’altare maggiore, oggi appesa nella navata laterale sinistra. Raffigura l’Incoronazione della Madonna e risale al 1606, sempre su commissione di Giovan Pietro Vertemate, che finanziò anche l’esecuzione degli affreschi.

Un’altra tela degna di considerazione è la Crocefissione tra cinque frati francescani e cappuccini, appesa nella navata destra. Fu eseguita da Cesare Ligari nel 1739 probabilmente per la chiesa di San Giuseppe annessa al convento dei cappuccini di Chiavenna e donata al santuario nel 1872..

 

Nel 1884, in previsione del quarto centenario dell’apparizione del 1892, il santuario fu affrescato anche nelle navate, che erano coperte dai numerosi ex voto appesi alle pareti. Contemporaneamente i dipinti del presbiterio furono contornati da altre cornici e rosoni in stucco dorato e le pareti rimanenti furono rivestite a finto marmo. Per decorare le navate fu scelto il pittore-restauratore Luigi Tagliaferri di Pagnona (Lecco), in quei decenni molto attivo anche nelle chiese della Valchiavenna, dove ha lasciato opere dignitose, che rientrano nel filone della pittura sacra ottocentesca, riprendendo moduli classici senza molta creatività, ma con una consolidata esperienza tecnica.

Fu così ridipinta sopra il fonte battesimale, eseguito in marmo nel 1652, la figura di san Giovanni Battista che battezza Gesù, mentre sulla volta centrale, entro un grande ovale, tra due altri a cielo stellato, fu raffigurata l’Incoronazione della Madonna da parte della Trinità fra testine alate a angeli svolazzanti sulle nubi. Nelle ricadute delle volte sopra il cornicione sono in tondi le figure sedute degli evangelisti con i rispettivi simboli, intervallate dalla illustrazione di litanie mariane nelle vele e da citazioni scritturali nelle lunette sottostanti. Partendo dalla controfacciata a sinistra sono Giovanni, Marco, di fronte Luca e Matteo. Il cielo di ogni navata laterale è decorato da tre tondi posti tra una volta a crociera e l’altra e raffiguranti  santi seduti o inginocchiati. A sinistra della controfacciata sono Antonio abate, Giuseppe con Gesù bambino sulle ginocchia e Francesco d’Assisi; a destra, partendo dal presbiterio, Abbondio, patrono della diocesi di Como, Anna con la Madonna e Luigi Gonzaga. Chiudono alle estremità coppie di teste alate in lunette.

Durante la decorazione ottocentesca furono anche applicate sei cariatidi in stucco a bassorilievo tra il cornicione e i capitelli.

 

Arredi lignei, pietra, paramenti, argenteria e stampe

Tra gli arredi lignei, oltre alla cornice a portale della primitiva ancona di impianto tardomanieristico, eseguita nel 1606 in legno intagliato e dorato e tuttora addossata alla parete di fondo, vanno segnalate le statue lignee del 1630 rappresentanti le due ragazze inginocchiate davanti alla Madonna con bambino in vesti policrome, anche se, stando al racconto della pergamena, la Madonna fu descritta dalle veggenti senza bambino e in vesti bianche.

Un’opera unica, quasi un grande carretto siciliano, è l’organo. Nel 1667 un comitato composto da otto persone (quattro di Gordona, tre di San Giacomo e uno di Lirone) si era impegnato a concorrere alla spesa per “fare, ò far edificare un organo musicale in detta Chiesa della Madonna di Valle”. Il lavoro era finito nel 1673 e fu in gran parte finanziato dagli emigranti a Palermo, come dice la scritta dipinta in un ovale al centro della balconata: “1673 / Organo / eretto, & offerto / alla B. V. M. / dall’industriosa pietà/ de / confratelli / della schola / di / Palermo. / et trasportato / 1759”. In origine era posto sotto l’arco a sinistra entrando dalla facciata, sorretto da quattro colonne e solo nel 1759, come dicono le due ultime righe aggiunte all’epigrafe seicentesca, fu addossato alla controfacciata, imponendo la chiusura del rosone centrale, sostituito da due finestre rettangolari e simmetriche a lato.

Degno di nota è il grande crocefisso in legno scolpito e dipinto, posto al centro dell’arco trionfale, poggiante sulla longarina inscatolata in legno dorato e dipinto con la scritta: “Recogitate eum qui talem sustinuit / a peccatoribus contradictionem” (Ebrei 12,3). In due ovali alle estremità si legge: “Anno Do[mi]ni 1643 / ali 19 lulio F. Pozzo” a sinistra, “Li devoti della valle / habitanti in Como F.[ecero] F.[are]” a destra.

Mentre i due confessionali addossati alle pareti laterali in legno di noce, uno dei quali porta intarsiata la data 1716, sono di linee molto semplici, più elaborata appare la coppia addossata alla controfacciata sotto l’organo, simmetricamente all’ingresso. Quello di sinistra fu realizzato nel 1759, quando fu trasportato l’organo, mentre quello di destra è del 1763. Interessante anche l’armadio di sacrestia in noce intagliato e intarsiato del 1717.

 

Se nei santuari è frequente trovare il trionfo dei marmi, in questo di Gallivaggio è la pietra locale a imporsi, spesso appena levigata, com’è quella delle montagne incombenti all’esterno in uno dei punti naturalmente più severi della val San Giacomo (oggi si preferisce chiamarla valle Spluga dal nome del passo a nord che collega alla Svizzera). Proprio attorno al masso di granito, sul quale le ragazze dissero di aver visto la Madonna, sorse la chiesa. Come le lastre del pavimento della navata e i portali, le sei colonne monolitiche che dividono le navate sono in pietra locale. In marmi policromi è invece l’altare maggiore, che si deve ai marmorari Giudice di Saltrio (1741).

In facciata il portale centrale fu ricavato nel 1664 da un masso caduto quattro anni prima a lato della casa parrocchiale, che allora era a est del sagrato. La statua in marmo bianco della Madonna nell’edicola in pietra ollàre al centro e quelle delle fanciulle inginocchiate sulle cornici del timpano spezzato sono state donate dagli emigranti sulle rive del lago di Como nel 1665. Sopra i due portalini a lato furono collocati nel 1761 un elaborato scudo con il monogramma di Maria e nel 1784 una pregevole cimasa in pietra ollàre raffigurante il re Assuero in trono, assistito da un soldato per parte in atto di presentare la moglie Ester, inginocchiata a sinistra e sorretta da un’ancella.

 

Ricco è l’arredo di paramenti e di argenteria. Tra i primi si segnala il parato in terzo, costituito dalla pianeta e dalle due tunicelle in ormesino bianco ricamato in oro e seta policroma con medaglione in basso raffigurante la Madonna di Gallivaggio, dono degli emigranti a Palermo nel 1713, insieme a un paliotto in tutto simile. Pregevoli sono due stendardi processionali: l’uno in seta ricamata e dipinta, raffigurante su un lato la scena dell’apparizione e sull’altro l’ostensorio, fu eseguito per 100 gigliati nel 1781 a Milano; l’altro, con la Madonna del rosario e santa Marta, fu donato dagli emigranti a Roma nello stesso secolo.

Fra gli oggetti di argenteria spiccano una grande lampada pendula seicentesca, un calice coevo in argento dorato e sbalzato, al cui piede è rappresentata la scena dell’apparizione tra i santi Giorgio e Giacomo, una pisside giunta da Palermo nel 1755, una croce processionale donata dagli emigranti a Roma nel 1771, le cartegloria inviate dagli stessi nel 1753, le ampolline rivestite in argento, giunte da Venezia nel 1708. Infine si conserva un messale rilegato in pelle rossa con ricche impressioni in oro e applicazioni in argento, dono della “fraterna” di Venezia nel 1760.

 

La scena dell’apparizione e il santuario di Gallivaggio sono stati ritratti nei secoli XVIII e XIX in una serie di stampe, a partire dall’incisione in rame, eseguita da Johann Georg Hertel di Augsburg in occasione dell’incoronazione del 1742, fino a quella di Giuseppe Pozzi di Roma, uscita per la stessa ricorrenza. Riprese il tema, probabilmente un secolo dopo, il pittore chiavennasco Matteo Vanossi, allievo di Francesco Hayez a Milano.

Dello stesso secolo, precisamente del 1789, è la più antica stampa paesaggistica di Gallivaggio: un’acquatinta disegnata da John Smith e incisa da Samuel Alken, uscita per la prima volta a Londra nel 1789.

Le altre stampe sono invece ottocentesche. Innanzi tutto l’acquatinta colorata disegnata dal vero e incisa da Federico Lose nel 1824 a Milano presso Francesco Bernucca; poi la litografia disegnata da G. C. Esq. e incisa da Frederick Calvert, uscita due anni dopo a Londra presso William Cole.

Nel 1827 veniva pubblicata a Parigi un’altra bella litografia di Henry Gaugain su disegno di Edouard Pingret. Seguì nel 1835 a Zurigo l’acquatinta disegnata da Johann Iakob Meyer e incisa da Rudolph Bodmer. Inglese è invece la litografia del 1841, pubblicata a Londra da Charles Hullmandel, che eseguì pure i disegni incisi da I. D. Clennie.

L’esistenza di varie stampe che riproducono il paesaggio di Gallivaggio con il suo santuario mariano si spiega anche con la posizione geografica, trovandosi su una strada che fino a tutto l’Ottocento fu un’arteria importante per il passaggio delle merci e dei passeggeri tra la pianura Padana e il centro Europa.

 

* Tutte le notizie sono tratte da GUIDO SCARAMELLINI, La Madonna di Gallivaggio. Storia e arte, Gallivaggio 1998, pp. 162, con molte illustrazioni a colori, ampia bibliografia (176 titoli) e indice analitico.